Continua a salire la tensione in Egitto, dove il braccio di ferro tra il presidente Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani, l’opposizione e soprattutto la piazza (che rappresenta la metà della società egiziana ostile al presidente) ha per spettatori interessati i militari, i cui vertici hanno dichiarato di «essere dalla parte del popolo» e di non poter consentire che il Paese si avviti in una spirale senza fine di disordini e violenze. Dopo gli scontri e i morti di ieri, la giornata di oggi si annuncia in effetti cruciale per definire le sorti della più importante tra tutte le rivoluzioni arabe di questi ultimi due anni. In gioco non c’è solo il futuro politico di Morsi, ma la stessa possibilità che la presa del potere da parte dei cosiddetti "islamisti moderati" rappresenti una forma di consolidamento democratico della transizione, un’istituzionalizzazione del momento rivoluzionario, e non invece un tradimento delle istanze più autentiche che in tanti Paesi arabi hanno portato al crollo (o alla crisi profonda e irreversibile) di lunghe e spietate autocrazie. Per provare a rispondere a queste domande, è opportuno guardare alla deriva autoritaria che i partiti islamisti stanno subendo ovunque essi abbiano preso il potere, a cominciare da Paesi che avevano conosciuto forme di transizione post-autoritaria improntate all’assenza di violenza, al carattere pacifico delle trasformazioni e al provvisorio accantonamento delle istanze più divisive rispetto al progetto di re-islamizzazione della società. E sono stati proprio gli avvenimenti che hanno scosso la Turchia nelle scorse settimane che ci ammoniscono circa l’abbaglio collettivo che ha colpito molti osservatori in questi decenni circa la compatibilità tra l’islamismo politico e la democrazia. È importante non equivocare: non stiamo sostenendo che la professione della fede islamica, né di qualunque altra del resto, sia per sé incompatibile con le istituzioni e le prassi democratiche (che si sono raffinate e consolidate nell’Occidente cristiano). Bensì, affermiamo che una certa declinazione politica prevalente della fede religiosa (in questo caso islamica) sia di fatto problematica per le sorti della democrazia, persino in quelle situazioni – come in Turchia – in cui, prima dell’avvento al potere dei partiti religiosi, le società non presentavano sintomi evidenti e massicci di lacerazioni radicali e violente. I partiti di ispirazione religiosa sembrano infatti cadere prima o poi nello stesso errore: pretendono che i propri valori di riferimento lo diventino per l’intera società e, una volta giunti al potere, cercano di imporli ai recalcitranti. È proprio la possibilità di esercitare il potere (cioè anche di costringere) a trasformare quel
continuum sfumato che in ogni società esiste tra la parte più osservante e quella più laica in una netta linea di frattura. È proprio la volontà (egemonica) di unificare nel nome dei propri "assoluti" che fa emergere la divisione, costringendo le diverse appartenenze e convinzioni a fossilizzarsi e a collidere. È ancora presto per poter diagnosticare con ragionevole certezza quale sarà l’esito conclusivo delle rivoluzioni arabe. Ma quel che sembra si possa affermare è che la via di questo islamismo moderato (quello che è ora sulla scena) rappresenti un
cul de sac, una falsa via di soluzione, una pericolosa scorciatoia. Non esistono scorciatoie sulla via dell’instaurazione e del consolidamento delle democrazie e qualunque deriva comunitaria non può che apparecchiare a future ulteriori lacerazioni. Lo abbiamo visto in Egitto e in Tunisia. Lo stiamo vedendo in Siria, dove il ritorno della politica al religioso (e quindi l’inevitabile tradimento di entrambe le dimensioni) ha semplicemente reso ancora più barbara la guerra civile in corso. E lo stiamo vedendo persino in Turchia, dove lo scontro tra pii e laici è stato creato dalle decisioni di Erdogan. Che i due ambiti, quello religioso e quello politico, restino laicamente distinti è una lezione che in Europa abbiamo imparato. Immaginare che possano esistere altre fantasiose soluzioni per regolare i rapporti tra dimensioni decisive per le società umane è del tutto naif. Ogni volta che questi due campi tornano pericolosamente a mescolarsi, entrambi perdono qualcosa, finiscono inevitabilmente con il piegarsi a logiche e dinamiche che sono loro estranee, comprimendo lo spazio per la libertà, il dialogo e il rispetto che rappresentano gli elementi essenziali perché qualunque democrazia, a qualunque latitudine, possa affermarsi e funzionare.