Ma cosa vuole a questo punto Vladimir Putin? Per tentare di comprenderlo dobbiamo tener conto della rapida evoluzione del teatro mediorientale e dell’altrettanto repentino deteriorarsi dei rapporti con la Turchia.
1) Il nemico numero uno di Vladimir Putin non sembra più essere il Daesh, ma Recep Tayyp Erdogan. Dopo l’abbattimento del Sukhoi 24 sui cieli confinari fra Siria e Turchia, l’offensiva del presidente russo – che fino a due giorni fa già prefigurava sanzioni economiche su alcuni prodotti turchi, il ripristino del visto d’ingresso per i cittadini anatolici e il divieto per le imprese della Federazione di assumere nuovo personale turco – sta raggiungendo un apice che nessuno aveva previsto.
2) Dopo il muro contro muro fra Putin e Erdogan (al vertice sul clima di Parigi il sultano di Ankara si è rifiutato di porgere le scuse ufficiali alla Russia e Putin non ha accettato di incontrarlo) ora l’accusa che il leader russo rivolge al suo avversario è circostanziata e pesantissima: «Erdogan e la sua famiglia, nonché le più alte autorità politiche della Turchia, sono coinvolti nel business criminale del traffico illecito di petrolio proveniente dai territori occupati dal Daesh».
3)
La Turchia in sostanza sarebbe il consumatore principale di questo petrolio «rubato ai proprietari legittimi della Siria e dell'Iraq». La Russia ha dichiarato di aver colpito almeno milleseicento convogli di greggio destinati ai compratori turchi, fra cui – si dice – Bilal Erdogan, il figlio del presidente. L’abbattimento del Sukhoi 24 sarebbe una conseguenza, o più esplicitamente un avvertimento di Ankara a Mosca.
4) Lo scontro fra Russia e Turchia è diventato uno scontro personale fra i due leader. «Se qualcuno pensa che la reazione della Russia sarà limitata alle sanzioni commerciali – ha annunciato ieri Putin - si sbaglia di grosso. Noi ricorderemo per sempre ciò che hanno fatto e lo rimpiangeranno. Probabilmente solo Allah sa perché lo hanno fatto. Evidentemente Allah ha deciso di punire la cricca al potere in Turchia, privandola di ogni logica o ragione».
5) La Turchia ha molte cose da farsi perdonare. Innanzitutto la sua ambiguità. Sembra certo che per mesi abbia finanziato il Daesh anziché combatterlo e se le prove addotte da Mosca sul traffico petrolifero sono autentiche si capisce che per lungo tempo si è praticata una sorta di partita di scambio - chiamiamola Oil for weapon - dal Daesh alla Turchia: petrolio in cambio di armi, armi che servono al Califfato per combattere il regime di Bashar al-Assad che viceversa Mosca sostiene e difende.6) Putin, che si dichiara amico del popolo turco ma avversario irriducibile del suo presidente, spinge perché Erdogan venga deposto. Magari con una rivoluzione a guida curda come è avvenuto in Egitto quando i Fratelli musulmani e i giovani liberali hanno provocato la caduta di Mubarak. Erdogan ribatte con un’accusa speculare: anche Mosca, dice, comprava petrolio dal Daesh. Ma è molto più difficile crederlo.
7) Infine, l’asse della coalizione fra Stati Uniti, Europa, Nato e Russia rischia seriamente di incrinarsi dopo l’annuncio di due giorni fa circa l’invito rivolto dal blocco atlantico al Montenegro affinché diventi il ventinovesimo membro dell’Alleanza atlantica.