giovedì 24 gennaio 2013
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​A conferma che la realtà spesso supera ogni fantasia, il trionfo inaspettato del laico centrista Yair Lapid (volto televisivo e profilo da attore di soap opera) e la resurrezione di Tzipi Livni (erede di Kadima, il partito creato da Ariel Sharon) hanno completamente sparigliato i giochi elettorali israeliani, mettendo il premier "Bibi" Netanyahu – che alla vigilia era dato per sicuro vincitore – nella condizione di non sapere che farsene dei voti di estrema destra conquistati dal miliardario nazionalista Naftali Bennett e delle poltrone guadagnate dalle formazioni ultraortosse. Perché quel pareggio perfetto – 60 deputati al blocco conservatore, 60 all’opposizione (di centro, di sinistra, araba, laburista) – costringerà Netanyahu a un subitaneo cambio di indirizzo politico. Se la destra e l’estrema destra avessero vinto, Israele avrebbe imboccato una strada molto pericolosa: quella del probabile attacco all’Iran, della chiusura di ogni colloquio di pace con il neonato Stato palestinese e con il rinnovato sodalizio Fatah-Hamas e di conseguenza l’abbandono (se non formale, di fatto) della formula "Due Stati per due popoli". A farsi alfiere di quella sterzata autarchica era ed è Naftali Bennett, l’uomo che abilmente ha vellicato l’insicurezza (e anche l’ottusità) dei coloni, promettendo loro di sgomberare la Cisgiordania dai residenti palestinesi con le buone o con le cattive maniere facendo di Israele uno Stato ed uno solo. Il che gli ha permesso di quadruplicare i propri seggi alla Knesset, a spese soprattutto della coalizione Likud-Ysrael-Beiteinu, ovvero il partito del premier alleato con il focolare russo di Avigdor Lieberman, che da 43 seggi è passata a 31. Sconfitta sonora, e necessità dunque di un cambio di passo.Quale? Netanyahu è una vecchia volpe della politica. Non a caso all’indomani del vistoso arretramento minimizza il risultato e punta sull’economia, vero tallone d’Achille del Paese, dove la soglia di povertà aumenta e cresce il numero dei disoccupati a dispetto della crescita del Pil (che comunque supera il 3%) e dell’impressionante numero di imprese hi-tech che nascono di continuo attorno al polo tecnologico di Tel Aviv e Haifa. Poco prima delle elezioni, quando i droni con la stella di David bombardavano i loro bersagli mirati dentro la Striscia di Gaza, la stampa israeliana si domandava polemicamente se Israele avesse ancora amici nel mondo e soprattutto al di là dell’Atlantico. È noto infatti che il premierato di Netanyahu ha portato le relazioni fra Israele e Washington al livello più basso degli ultimi quarant’anni.Per questo l’improvvida sconfitta del blocco di maggioranza relativa e l’altrettanto inaspettata affermazione di Yesh Atid ("C’è un futuro") possono davvero fare la differenza: Netanyahu – che a denti stretti ora ammette che conta di formare «un governo il più ampio possibile» –  dovrà per forza di cose rivolgersi a Lapid e alla Livni, che con il suo Hatnuah ("il Movimento") rinfoltisce la pattuglia di centristi. Il che fa tirare un sospiro di sollievo alla Casa Bianca. Perché un governo con cospicue componenti moderate sarà fatalmente più incline alla trattativa con i palestinesi e rifuggirà – o comunque renderà più difficile – la sconsiderata politica degli insediamenti che Netanyahu finora aveva accarezzato pagando la sua cambiale politica al blocco conservatore che gli garantiva la maggioranza parlamentare.Brutto risveglio per colui che solo nel maggio scorso la rivista Time metteva in copertina con il titolo di "King Bibi", vero e proprio re d’Israele. Lui ricambiava e faceva il tifo per Mitt Romney, avversario di Obama alle elezioni di novembre. Il quale oggi si è preso un’indiscutibile rivincita. Che farà senz’altro bene al processo di pace.
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