mercoledì 30 ottobre 2013
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Non accenna a placarsi la bufera che scuote le relazioni tra gli Stati Uniti e i loro principali alleati relativamente all’emergere di una attività spionistica sistematica e capillare da parte della Nsa (la National Security Agency). Le dichiarazioni italiane sulla mancanza di prove riguardo alla presunta intercettazione del premier Enrico Letta quasi scompaiono di fronte all’ennesima rivelazione sui 61 milioni di "ascolti" effettuati in Spagna tra inizio dicembre e inizio gennaio. I vertici dell’agenzia cercano (di malavoglia) di coprire (e nemmeno troppo) il presidente Obama e la Casa Bianca ha avviato una massiccia campagna volta ad avvalorare la tesi che lo stesso presidente avrebbe richiesto, prima che lo scandalo scoppiasse, una maggiore selettività e cautela nell’azione della Nsa.Al di là delle polemiche più pretestuose, è difficile non constatare come le opinioni pubbliche, i media e i commentatori di qua e di là dell’oceano stiano descrivendo, analizzando e giudicando queste vicende con un metro molto differente, per non dire opposto. In America prevale la tesi che sono cose che si son sempre fatte, per cui ci si sorprende di fronte alla reazione esagerata degli alleati europei. In Europa, viceversa, si definiscono inaccettabili simili comportamenti da parte di un alleato e ci si indigna di fronte alla sorpresa americana. In entrambe le posizioni, evidentemente, c’è del vero. È vero che la pratica della ricerca sistematica di informazioni con i diversi mezzi disponibili è antica e ha sempre riguardato anche gli alleati. Ma è altrettanto inoppugnabile che i mezzi a disposizione oggi dei servizi di sicurezza (e non solo) sono altamente intrusivi. Insomma, un conto è intercettare i dispacci di ambasciata e le lettere diplomatiche, un altro è introdursi in ogni conversazione del premier di un Paese alleato. Non va poi dimenticato che nessuna alleanza del passato ha avuto le caratteristiche di permanenza e condivisione peculiari dell’alleanza transatlantica, ragione per cui la reazione furibonda degli alleati europei non è per nulla esagerata.Allo stesso tempo, gli europei sanno benissimo che una parte importante delle attività americane di ascolto nei loro Paesi ha consentito di sventare minacce portate anche alla loro stessa sicurezza da organizzazioni terroristiche di varia natura e di vario genere. Così come sanno che loro stessi, quando sono in grado di farlo e nei confronti di chi possono farlo, si comportano esattamente nella stessa maniera. E dovrebbero soprattutto ricordare che se è grave essere spiati da un alleato, può essere letale essere spiati da un avversario. Il paradosso di tutta questa vicenda è che, per fortuna, la vulnerabilità delle reti di comunicazione europea – comprese quelle utilizzate dai leader nazionali – è stata rivelata grazie all’attività di un alleato (per quanto arrogante) e non dall’azione di una potenza ostile o potenzialmente ostile (che, purtroppo, e proprio oggi Avvenire ne dà conto, non è affatto esclusa...).Così, mentre si chiede a gran voce (e giustamente) che gli americani la smettano di comportarsi come cow boys dell’etere e delle fibre ottiche, si dovrebbe anche cominciare a pensare a come rendere più sicura la rete delle comunicazioni nazionali. I mezzi esistono, anche in Italia, dove nei campi delle comunicazioni militari protette siamo all’avanguardia. Oltretutto ciò che è successo smaschera anche tutte le fole sulla minaccia alla sicurezza nazionale che avrebbe costituito l’acquisizione di Telecom Italia da parte della spagnola Telefonica. Evidentemente sono ben altre le minacce alla sicurezza nazionale.Chiarito tutto questo e data la giusta dimensione allo scandalo Datagate, non va dimenticato che, proprio per la capillarità e la massività delle attività di ascolto americane, molte delle intercettazioni compiute non riguardavano neanche lontanamente la sicurezza americana e degli alleati, ma piuttosto sembravano destinate a colpire potenziali competitori europei di aziende americane.Qui si entra nel campo della concorrenza sleale che, ripetiamo, con la sicurezza nazionale non ha nulla a che vedere ma è comunque inaccettabile. Tanto più mentre Europa ed America stanno, insieme, lavorando per dar vita a quella Transatlantic trade and investments partneship (Ttip) che spiace a tanti vecchi e nuovi rivali. Il vero risultato cruciale che ci si aspetta dal Ttip andrebbe ben oltre quello di costituire una grande area economica e finanziaria integrata. Esso si propone in effetti di dare vita e istituzionalizzare una "good governance" che regolerebbe le transazioni di un’area che ancora vale circa il 45% del Pil del mondo. Come avviene in ogni caso di regionalismo di successo, il suo buon funzionamento finirebbe fatalmente con l’attrarre e fare convergere sulle sue prassi anche i Paesi esterni alla sua area, contribuendo a salvaguardare il ruolo dell’Occidente nel sistema economico globale. Forse a Washington dovrebbero iniziare a chiedersi se un simile obiettivo non sia più prezioso di qualunque attività spionistica e a Berlino e Parigi bisognerà domandarsi se boicottare i lavori del Ttip non sarebbe il peggiore degli autogol...
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