Inedia e pandemie, guerre e carestie, sono una costante in molti Paesi dell’Africa subsahariana, soprattutto in quelli della fascia saheliana e del Corno d’Africa. Le ragioni di questo permanente degrado della condizione umana, per dirla con le parole di Christian Coméliau, sono legate alla povertà che «non può essere intesa come una fatalità del destino, né uno stato, né tantomeno una categoria sociale, ma un processo di esclusione determinato dalle ineguaglianze strutturali». Stiamo parlando di Paesi dove il
jihadismo spinto – ovvero la strumentalizzazione ideologica della religione per fini eversivi –, come anche l’emarginazione di vastissimi settori delle popolazioni autoctone dalla gestione della cosa pubblica, sostenuta da un’accesa conflittualità, rendono incandescente lo scenario. Una fenomenologia con le caratteristiche tipiche del circolo vizioso, in cui i diversi fattori interagiscono tra loro, colpendo ogni anno milioni di innocenti.Ciò che sconcerta è l’
omertà della comunità internazionale rispetto alle vicende di questi Paesi, Somalia in primis. E sì, perché se da una parte è evidente che l’Africa rappresenta la linea di faglia tra opposti interessi geostrategici – legati almeno in parte al controllo delle immense fonti energetiche presenti nel sottosuolo (che vanno dal petrolio al gas naturale fino all’uranio) –, vi sono anche altre negligenze che coinvolgono le classi dirigenti locali (spesso assetate di denaro) e di certi grandi benefattori o presunti tali. Ad esempio, da troppi anni a Mogadiscio e dintorni, come anche nel resto del Corno d’Africa, il consesso delle nazioni anziché promuovere una cooperazione allo sviluppo che tenga conto degli effettivi bisogni del territorio, ha risposto spesso e volentieri alle cicliche calamità climatiche, poco importa che si tratti di siccità o inondazioni, e alle crisi armate promuovendo interventi d’emergenza con modalità che hanno finito per acuire a dismisura la dipendenza delle popolazioni africane dagli aiuti stranieri.E che dire delle speculazioni finanziarie legate alla compravendita di fondi di investimento? Quei di
futures sui prodotti agricoli che non vengono più solo acquistati da chi ha un interesse diretto in quel determinato mercato seguendo le tradizionali leggi della domanda e dell’offerta, ma anche da soggetti finanziari come i fondi pensione, che investono grandi somme di denaro con l’obiettivo esclusivo di ottenere il miglior rendimento. Col risultato che si determinano impennate dei costi alimentari, soprattutto dei cereali, in contesti dove la solidarietà dovrebbe prendere il sopravvento sulle spietate regole del business. E meno male, come questo giornale ha nei giorni scorsi documentato, che queste pratiche cominciano a ripugnare ad alcuni grandi soggetti bancari e previdenziali europei...Parliamo, infatti, di Paesi in cui la gente destina più dell’80% del reddito al fabbisogno alimentare e che, nell’attuale congiuntura, non sono assolutamente in grado di fare fronte all’aumento dei prezzi del cibo. Ecco perché sarebbe auspicabile che la diplomazia internazionale cominciasse ad affrontare l’agenda politica di queste nazioni, partendo dalla prossima conferenza internazionale sulla Somalia, che si terrà a Londra il 7 maggio. Un evento a cui prenderà parte la neoministra Emma Bonino, alla sua prima uscita internazionale. Ciò che conta è guardare ai problemi in una prospettiva olistica e non segmentata nei tradizionali settori d’intervento, quasi fossero realtà a sé stanti (emergenze umanitarie,
peace-building, aiuti allo sviluppo), che tenga conto delle varie componenti che hanno fatto di quel Paese un autentico calvario. Ma questo sarà possibile solo se e quando si avrà l’onesta intellettuale di affermare nella politica internazionale un "multilateralismo dalla parte dell’uomo" e non ostaggio dei soliti interessi selettivi, mercantili e anti-umani.