martedì 21 ottobre 2014
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«Claro que sì!». S’è sentito rispondere così, con la voce squillante della moglie che già preannunciava la sempre più probabile guarigione, il marito di Teresa Romero – l’infermiera contagiata dal virus Ebola in un ospedale di Madrid – durante la breve telefonata nella quale le chiedeva se dopo le dimissioni dall’ospedale avrebbe voluto occuparsi ancora di pazienti colpiti dal devastante virus, aspettandosi probabilmente una risposta del tutto diversa. Teresa non s’è mai persa d’animo, i bollettini dell’Ospedale Carlo III dov’è ancora ricoverata nel più stretto isolamento passavano di giorno in giorno dal più cupo pessimismo a una cauta fiducia, e ora che sono arrivati i primi test negativi prende forza l’ipotesi di una completa remissione della malattia. Teresa è la «paziente zero» europea, la prima cioè che non ha messo piede in Africa ed è stata contagiata semplicemente venendo in contatto con il missionario spagnolo rimpatriato, poi deceduto malgrado gli sforzi dell’équipe clinica madrilena di cui lei stessa aveva fatto parte.  È bastato un attimo di distrazione, un gesto abituale, umanissimo, uno dei tanti che compiamo senza pensarci – grattarsi il naso, toccarsi un occhio, tergersi il sudore... – e il virus ha beffato le rigide norme di sicurezza formalizzate in protocolli medici a prova di contagio. Ma i protocolli non fanno i conti col fattore-uomo, l’imprevedibilità dei nostri comportamenti, che si attengono mille volte allo standard per poi improvvisamente prendere un’altra strada. Teresa è l’esempio vivente di questa libertà che, piegata a una doverosa regola (in questo caso, salva-vita), ci ricorda all’improvviso che non siamo macchine, e che resta un margine seppur piccolo per l’eventualità non calcolata. Ma la vita messa a repentaglio da una distrazione s’è ripresa la scena: e l’infermiera ha gridato al marito il suo desiderio di tornare a occuparsi di malati di Ebola, specie ora che – è la sua speranza – «sono immunizzata».  Teresa non vuole dimenticare al più presto, cambiare mestiere o almeno occuparsi di pazienti comuni: sente come una chiamata a servire dove c’è più bisogno, e pare non sia la sola. Cosa dunque la spinge a chiedere che non le sia risparmiato il rischio di un nuovo contagio, se non la libertà che mentre ci espone a un rischio talora drammatico sempre ci propone la scelta di un grande bene a portata di mano?
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