Oggi la Russia vota per rinnovare il Parlamento, dopo una vigilia di tensione e inquietudini. Dando per scontato che il 4 marzo Vladimir Putin tornerà al Cremlino, nel posto di presidente che Dmitrij Medvedev gli ha tenuto in caldo per quattro anni, ci si appresta a contare i seggi di Russia Unita per valutare l’esito della tornata parlamentare. Sarebbe però un errore affidare i bilanci al pallottoliere. Se al partito presidenziale anche mancassero quei 50 seggi che i sondaggi danno per evaporati rispetto ai 315 attuali (sui 450 totali della Duma), il controllo del Parlamento sarà mantenuto con qualche alleanza di comodo, o con la transumanza da un fronte all’altro del pugno di deputati necessario alla bisogna. Il problema dei russi e di Putin è un altro: la crisi, ormai percepita anche dai cittadini, di un sistema economico che rischia di non essere all’altezza delle sfide globali. Nei suoi primi otto anni da presidente, Putin è stato bravissimo nel blindare il patrimonio di materie prime del Paese. Esautorati o ridimensionati gli oligarchi.
Riportate sotto tutela Ucraina e Bielorussia, territori decisivi per il transito del gas. Agganciata l’Europa con le fondamentali partecipazioni nei gasdotti North Stream (in coppia con la Germania) e South Stream (con l’Italia). Recuperata una strategia regionale con l’unione doganale insieme a Bielorussia e Kazakhstan (altro grande estrattore ed esportatore di gas). Oggi la Russia, con e più della Turchia (che infatti importa energia da Mosca), è lo snodo dei trasferimenti di materie prime da Est a Ovest. La medaglia ha però un’altra faccia. Gas e petrolio, da soli, hanno generato nel 2010 il 46% delle entrate dello Stato.
Quota che, negli ultimi sei anni, non è mai scesa sotto il 37% (dati Banca mondiale). Quello energetico (oltre a quello minerario) è l’unico settore in cui la Russia è leader. Quando i Paesi clienti, cioè i Paesi ricchi e sviluppati, sono in crescita, la Russia guadagna molto. Ma quando quelli sono in crisi (e lo sono da tre anni, ormai), la Russia perde molto. Senza poter compensare in altri settori, anzi: nel periodo del crac globale le importazioni russe sono ancora cresciute. E non vi sono prospettive che facciano pensare a un cambio di scenario a breve.Per tenere in equilibrio il bilancio, il Cremlino deve poter contare su un prezzo del petrolio di circa 115 dollari a barile, quota che, dicono gli analisti, sarà (forse) recuperata tra un anno. Da questo punto di vista è come se il quadriennio di Putin nel ruolo di primo ministro fosse passato senza lasciare il segno. In questo periodo il numero dei poveri in Russia è rimasto quasi inalterato (da 18,9 a 18,6 milioni di persone), i settori portanti dell’economia (trasporti, costruzioni, industria meccanica) vivono una forte contrazione, salari e pensioni hanno perso potere d’acquisto perché non indicizzati rispetto a un’inflazione in crescita. Il baratto 'benessere in cambio della parziale rinuncia ad alcuni diritti civili' funzionerebbe ancora se non fosse che il Cremlino non è più in grado di mantenere la propria parte dell’accordo. Da qui gli scricchiolii nel consenso di Russia Unita. Che saranno superati, come detto. Mentre non potrà essere elusa la domanda più generale: come inserire nel flusso dell’economia globale una Russia che non può più contare sulla rendita sicura di gas e petrolio, non ha saputo portare alcun settore ai livelli della competizione mondiale e nel frattempo è stata ammessa all’Organizzazione mondiale del commercio, con relativi diritti e soprattutto doveri? Da questo punto di vista la Russia è ancora molto post-sovietica. Il che, a vent’anni dalla fine dell’Urss, non è una bella notizia.
Tra poco vedremo se il Putin presidente sarà davvero più efficace del Putin primo ministro.