La guerra tra al-Qaeda e Daesh è dichiarata da tempo, il terreno in cui combatterla pure (l’Africa e, recentemente, l’Asia) e la posta in gioco anche: l’egemonia del terrore.
Un’esibizione muscolare tra la “vecchia” concezione del fondamentalismo armato e quella moderna e “vincente”. Una contrapposizione impersonificata dall’erede, non designato, di Osama Benladen – l’egiziano Ayman al-Zawahiri – e dal nuovo califfo nero Abu Bakr al-Baghdadi. Uno scambio di colpi – tradotto in attentati suicidi e assalti in perfetto stile militare – che va in scena sulla pelle dei civili, preferibilmente se occidentali in vacanza o fuori casa per lavoro, e in zone fuori dalle tradizionali aree di controllo dell’intelligence.
Vedi, ad esempio il Burkina Faso o, qualche mese fa, il Mali. È infatti al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) l'organizzazione terroristica che si è attribuito l'assalto a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso. Aqmi ha inviato un messaggio di rivendicazione all'agenzia di stampa mauritana al-Akbar. Precisando che l'attacco è stato condotto da uomini che appartengono ad al-Murabitoun, un gruppo che opera nel deserto del Sahara e che è guidato dal jihadista algerino considerato uno dei principali capi di Aqmi, Mokhtar Belmokhtar. Al-Murabitoun è stato l'autore dell'attacco, condotto con modalità molto simili due mesi fa nella capitale del Mali, Bamako, quando un commando islamista prese d'assalto l'Hotel Radisson Blu, anche quello frequentato soprattutto da occidentali.
Il gruppo sostiene che l'assalto è un messaggio "scritto dagli eroi dell'Islam con il sangue", un attacco "contro gli adoratori della Croce, gli occupanti delle nostre terre, i saccheggiatori delle nostre ricchezze e coloro che violentano la nostra sicurezza": un attacco per "punire gli adoratori della Croce per i crimini commessi in Repubblica Centrafricana, in Mali e nelle altre terre dei musulmani e per vendicare il nostro Profeta".
Una sorta di risposta al messaggio di mercoledì di Zawahiri che chiamava all’azione più profonda. Per contrapporsi al fenomeno sempre crescente del Califfato, dei suoi jihadisti in continuo afflusso dall’Occidente. E, soprattutto, cercare di cavalcare, dopo averlo fatto con un’interpretazione a di poco distorta del Corano, lo scontro sempre più profondo tra l’anima sciita (blandita anche l’altro giorno dal successore di Benladen e quella sunnita dell’islam. Le conseguenze di tutto questo sono palesi, così come il fatto che la “debolezza” di al-Qaeda nei confronti del Califfato - territorializzato tra Iraq e Siria e con un numero sempre crescente di “province” fedeli - non può che portare al paradosso di attacchi sempre più “vistosi”. E sanguinari.