Nel caso delle armi leggere, tale proposizione è ancora più vera in virtù del fatto che gli attori che hanno a disposizione e utilizzano i vari tipi di armi leggere sono diversi, di differente dimensione e organizzazione e in alcuni casi di difficile identificazione. Armi leggere come pistole e fucili sono infatti utilizzate non solo da corpi legittimi come polizie ed eserciti, ma anche da gruppi armati di varia natura e da organizzazioni criminali. Gli eventi delle ultime settimane hanno tragicamente mostrato che tutti questi soggetti costituiscono un ostacolo alla pace e una minaccia alla sicurezza non solo nei territori tragicamente intrappolati in spirali sanguinose di conflitto, ma anche all’interno dei Paesi tradizionalmente considerati più sicuri.
La diffusione e la pervasività delle armi leggere derivano purtroppo anche dalla natura del mercato internazionale di riferimento. Secondo i dati ufficiali, a livello globale il commercio di armi leggere è in costante aumento. Nel periodo 2000-2013, la leadership nelle esportazioni di armi leggere appartiene a Italia e Stati Uniti, seguiti da Francia e Germania. In particolare, i tassi di crescita medi nel periodo 2001-2013 vedono un aumento delle esportazioni italiane medio del 6,7%, contro un aumento del 5,3% di quelle statunitensi. Nello stesso periodo, tuttavia, la crescita più significativa è stata registrata dai produttori tedeschi che nel periodo considerato hanno visto aumentare in media le esportazioni del 9,5%, mentre la Francia ha registrato una diminuzione dell’1,2%. Nel 2013 le esportazioni di armi leggere italiane sono state pari a un valore 750 milioni di dollari di cui il 40% circa destinate agli Stati Uniti, il 33% a Paesi dell’Unione Europea, il 6,2% a Paesi del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, e il 4,2% alla Russia.
I dati ufficiali, comunque, ci offrono solamente un quadro parziale. Infatti, le armi leggere sono facilmente occultabili e trasportabili e quindi divengono facilmente oggetto di contrabbando illecito. Nei fatti, una volta che esse sono disponibili nel mercato ufficiale, poi vengono re-esportate e introdotte in Paesi e aree in cui l’esportazione diretta non sarebbe consentita dalla regolamentazione dei Paesi produttori e dagli accordi internazionali. Da molti osservatori è spesso evidenziato, infatti, che nei territori dilaniati da conflitti nell’Africa sub-sahariana e in Medio Oriente le armi arrivano principalmente da re-esportazioni e da traffico illecito. Era stato riportato da diverse fonti, ad esempio, che il Qatar rifornisse le milizie islamiste in Libia e Siria con armi legalmente acquistate sul mercato internazionale. Altra caratteristica delle armi leggere, inoltre, è la loro durabilità e la facilità di conservazione. Non stupisce, infatti, che negli scenari di guerra si ritrovino in uso armi e munizioni prodotte molti anni addietro. In un rapporto pubblicato dal progetto di ricerca indipendente Small Arms Survey, ad esempio, si riporta che in Afghanistan e Iraq sono stati rinvenuti fucili e pistole di produzione sovietica e americana risalente alla Guerra Fredda e in alcuni casi anche a periodi precedenti. In Somalia sono ritrovate armi dello stesso periodo, poiché durante il governo del dittatore Siad Barre una ingente quantità di armi leggere era stata accumulata dalle forze governative. Successivamente alla caduta del regime nel 1991, queste erano divenute oggetto di razzia e sono quindi tuttora in circolazione. Una terza problematica riguarda il prezzo e l’impatto che esso ha sulla produzione di nuova violenza. Da diversi studi e inchieste sul campo è emerso che il prezzo delle armi leggere tende ad abbassarsi nelle fasi in cui i conflitti cessano o tendono a diminuire in intensità e ad aumentare nelle fasi in cui i conflitti e la violenza tendono ad aumentare. Questo può determinare un 'travaso' di violenza tra Paesi. Quando un conflitto cessa o volge al termine, infatti, la domanda di armi in quel Paese diminuisce, creando un’eccedenza di offerta che può essere reindirizzata a gruppi presenti in territori vicini a un prezzo più basso. In questo modo, aumenta la probabilità che si generino nuovi conflitti violenti. Un esempio evidente in questo senso è stato la fine della Guerra Fredda. All’indomani della dissoluzione dell’Unione Sovietica, l’offerta di armi leggere aumentò vertiginosamente poiché furono rese disponibili improvvisamente sul mercato ingenti quantità che hanno fatto diminuire in maniera drastica il prezzo. Gruppi armati non statali e organizzazioni criminali hanno avuto gioco facile nell’approvvigionarsene. Per far diminuire la violenza dei nostri giorni ma anche di quelli futuri è dunque necessario limitare in maniera significativa l’offerta di armi leggere. Una sempre maggiore regolamentazione e trasparenza in questo mercato è chiaramente auspicabile e non può che essere un obiettivo da perseguire con maggiore determinazione dalla comunità internazionale. Ma questo non basta. È questo il momento di interrogarsi sull’opportunità di creare e finanziare meccanismi e incentivi efficaci per ritirare e poi distruggere le armi leggere esistenti, in particolare in quei Paesi in cui la violenza costituisce una piaga dilagante e contagiosa.