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«Abbiamo valutato che oggi serve soprattutto la proposta di approfondimenti, studi e formazione, in particolare rivolti ai giovani 20-30enni, e coinvolgendo esperti capaci di parlare in nome della scienza “autentica”, vale a dire connotata da rigore metodologico e onestà intellettuale».
Alberto Gambino, docente di Diritto privato all’Università Europea di Roma e componente del Comitato nazionale per la bioetica (Cnb), spiega così la recentissima trasformazione di Scienza & Vita da Associazione a Centro studi, di cui resta presidente affiancato da un Consiglio scientifico composto da 21 persone altamente qualificate: «Il tutto è l’esito di un lungo confronto e discernimento che abbiamo compiuto, con il supporto della Conferenza episcopale italiana, per operare un salto di qualità della nostra presenza nella società. Anche perché i temi della bioetica sono sempre più complessi, e sempre più drammaticamente “sociali”».
Quali motivazioni e scopi hanno condotto a “trasformare” Scienza & Vita?
La decisione di diventare Centro studi nasce da un discernimento durato quasi due anni. Ci siamo resi conto che se i cittadini più maturi – che avevano vissuto in prima persona la stagione referendaria sulla legge 40, sulla legge 194 o la conflittualità sul caso Englaro – seguivano le iniziative dell’Associazione, le nuove generazioni, diciamo i millennials o poco più, non davano grande ascolto ai nostri contenuti. Viceversa, quando abbiamo organizzato incontri formativi abbiamo avuto un gran seguito dai giovani.
Allora abbiamo pensato che, più che una militanza che rischia di essere sterile, servisse un’opera di formazione culturale, di studio, di approfondimento su temi tuttora attuali, sempre più complicati dal punto di vista scientifico, ma che hanno comunque grande impatto sulla società. Ci proponiamo quindi di organizzare seminari, incontri, workshop rivolti soprattutto alle nuove generazioni. E poi offrire anche il nostro parere sui temi della bioetica al mondo cattolico in senso ampio.
Fate riferimento a una scienza “autentica”: cosa volete dire?
Come Scienza & Vita abbiamo sempre fatto riferimento a una “scienza al servizio dell’uomo”. Lo scienziato che studia in un orizzonte di autenticità e verità è quello che, davanti alle scoperte, ne intravede anche il riflesso sulla persona umana, in un’ottica di pieno sviluppo e armonia. Lo scienziato che chiamiamo “autentico” è quello che sta all’interno di una “coerenza con l’umanità”: non basta il genio creativo.
C’è una prospettiva molto chiara: la scienza autentica è al servizio dell’uomo, e conosce i suoi limiti. Non una scienza che pur di raggiungere un risultato, visto come progresso fine a sé stesso, è pronta – per esempio – a sperimentare sugli embrioni: quella scienza contraddice le sue finalità di essere al servizio della persona perché usa strumentalmente una vita umana.
Come Centro studi, Scienza & Vita è pronta a offrire supporto alle diocesi, così come ad accompagnare la nascita di “amici di Scienza & Vita”, Centri studi organizzati sui territori attingendo soprattutto ai mondi delle università e della ricerca scientifica.
Scienza & Vita nacque in occasione del referendum sulla legge 40 e di recente sono state pubblicate le nuove Linee guida sulla fecondazione assistita: cosa resta di quella battaglia?
La legge è stata “demolita” dalla Corte Costituzionale, però conserva una sua ragion d’essere. In particolare rispetto al divieto di sperimentazione sugli embrioni e al divieto di surrogazione di maternità. Che sono due punti fondamentali per evitare la mercificazione da un lato della persona, dall’altro della donna e della sua dignità, nonché del nascituro che altrimenti non avrebbe più la madre che lo ha partorito.
Osserviamo però che dalla sua filosofia iniziale di rimozione di cause che ostacolano la genitorialità, la legge 40 è ora scivolata in una prospettiva riproduttiva spinta che rasenta l’eugenetica. Perché l’obiettivo originario – rimuovere gli ostacoli alla procreazione – è oggi in gran parte slittato nella finalità di garantire una “buona” riproduzione, da intendersi come riduzione se non azzeramento delle possibilità che l’embrione impiantato sia affetto da imperfezioni, grazie ai test genetici preimpianto.
Malgrado l’evidente sfruttamento delle donne povere, perché sul divieto di maternità surrogata non c’è unanime consenso?
Ricordiamo intanto che in Italia solo grazie alla legge 40 questa pratica è vietata: è un piccolo comma di un articolo, che indica una sanzione tra tante, ma è l’unica norma che abbiamo. C’è conflitto perché si sente ripetere che ci può essere gratuità, e apparente libera determinazione – senza corresponsione di denaro – tra donne, di cui una sterile, che hanno legami parentali o amicali.
Questa forma sembra trovare qualche favore in più, rispetto alle esigue minoranze che la permetterebbero sempre: radicali e liberisti libertari che si saldano con le forze progressiste, di solito però favorevoli solo alla maternità non commerciale.
In realtà, come ricorda la nostra Corte costituzionale, la gestazione per altri «mina nel profondo le relazioni umane», generando bambini senza la vera madre e governando le scelte della donna gestante e la circolazione di un minore attraverso un contratto che, come noto, è strumento di trasferimento di cose e non di condizionamento di esseri umani. Anche per questo nel mondo femminista ci sono ampie aree totalmente contrarie.
La scienza ha mostrato che il feto – ma anche l’embrione – non è un grumo di cellule. Eppure sull’aborto il dibattito si mantiene caldo. Perché?
La mia impressione è che in Italia si siano saldati due dissensi: uno, storico, verso il pensiero cattolico, da parte del mondo libertario, che attecchisce nelle nuove generazioni. L’altro è un dissenso politico, legato al fatto che c’è un’area di destra al governo. In più bisogna riconoscere che le nuove generazioni sono più individualiste del passato e, quindi, le cosiddette libertà “civili” sono entrate nel loro vivere quotidiano.
Da ultimo, il fine vita. Anche in questo caso, la spinta ad agevolare la morte sembra venire da un pensiero che propone una autodeterminazione completa dell’individuo. È così?
Bisogna stare molto attenti, questa matrice antropologica favorisce un efficientismo sanitario legato alla riduzione dei costi.
Quali fasce della popolazione risentirebbero della possibilità di eutanasia? I casi singoli che oggi vanno in Svizzera sono determinatissimi, invece a livello sociale i cittadini in posizione di povertà, di fragilità, che non hanno nessuno, potrebbero sentirsi spinti a preferire una fine veloce piuttosto che una lunga degenza in stato di abbandono sul piano umano.
La soluzione non è accelerarne la morte ma accompagnarli con terapie, come le cure palliative, che possano rendere serene e sopportabili le fasi del fine vita: la sanità è il luogo della cura, non della somministrazione di farmaci letali.
Anche la comunità ha le sue responsabilità: se si rompe lo spirito solidaristico tra le persone si favoriscono i germi dell’indifferenza. Ripeto: siamo disponibili a ogni confronto e approfondimento, purché siano autentici quelli che dibattono con noi.