Una delle prime stanze del NeMo Bologna
È iniziato da qualche mese il “viaggio” a Bologna di un nuovo Centro Clinico Ne Mo, il network di riferimento per la diagnosi, la cura, l’assistenza e la ricerca sulle malattie neuromuscolari e neurodegenerative rare. Sono per ora attivi 4 posti letto all’Ospedale Bellaria, situati al III piano del Padiglione G, ma la prospettiva è molto più ambiziosa. Entro il 2026 due dei quattro piani del Padiglione C, in ristrutturazione grazie ai fondi Pnrr (Missione 6 - Salute, per un ospedale più sostenibile e sicuro), saranno infatti dedicati interamente al NeMo.
Oltre 1.000 metri quadri, con 14 posti letto, spazi attrezzati per la movimentazione del paziente e l’accoglienza del suo caregiver; ambulatori, aree di attesa e accettazione e una palestra di 60 metri quadri per la riabilitazione. «L’avvio dell’attività di questo Centro Nemo è stato molto positivo – afferma Rocco Liguori, direttore clinico del Centro NeMo Bologna e della Clinica neurologica dell’Ospedale Bellaria e docente ordinario di Neurologia all’Università di Bologna –. In questi primi mesi, infatti, abbiamo già ricoverato circa cinquanta persone e in tutti i casi i ricoveri hanno permesso di raggiungere l’obiettivo di stabilizzare la malattia e, quindi, le condizioni cliniche del paziente, mediamente in due settimane. La provenienza è prevalentemente dalla Provincia, ma anche da tutta la Regione e continuiamo a seguirli anche dopo il ritorno a domicilio, grazie a un network di professionisti esperti, che intendiamo rendere sempre più ampio».
«Chi si occupa di malattie neuromuscolari rare sa cosa significhi prendersi cura di una patologia complessa – prosegue Liguori – e credo che il progetto dei Centri NeMo sia un’intuizione straordinaria, capace di migliorare la qualità di vita e fornire un supporto concreto alle famiglie. In questi mesi abbiamo toccato con mano l’utilità di questo approccio multidisciplinare, acquisendo numerose professionalità che ci hanno permesso una presa in carico integrata della persona. Cito tra queste il pneumologo, lo psicologo, il logopedista, il fisioterapista e il terapista occupazionale. Insieme agli altri professionisti del team, queste figure lavorano in reparto con un progetto di cura condiviso». «Il Centro NeMo Bologna ha una sua unicità – prosegue ancora – perché è a vocazione totalmente pubblica.
A garanzia del rispetto degli standard di cura del modello, è richiesta la formazione continua degli operatori e il monitoraggio dell’attività secondo i requisiti specifici di presa in carico, consolidati in tutti gli altri 7 Centri NeMo in Italia». «Per noi il Centro NeMo Bologna non è solo un cambio organizzativo ma prima di tutto un cambio culturale importante – afferma Paolo Bordon, direttore generale dell’Azienda Usl di Bologna –. È un cambio di paradigma del prendersi cura, e questi primi quattro posti letto sono preziosi per permetterci di avviare un nuovo modello multidisciplinare, e allenarci a esso. Ancora più importante perché siamo stati riconosciuti come Centro regionale di riferimento per le malattie neuromuscolari».
Anche il cardinale Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ha voluto manifestare la propria vicinanza ai malati di gravi patologie neuromuscolari, in particolare di Sla (Sclerosi laterale amiotrofica). In occasione della prima Giornata regionale della Sla, ha celebrato per loro e i loro familiari e caregiver una Messa nella cattedrale di San Pietro, ha incontrato i presenti e ha partecipato a un momento di confronto sempre in cattedrale. Il tutto è anche stato trasmesso, per i numerosi malati e familiari che non avevano potuto essere presenti, in streaming sul sito dell’Arcidiocesi. Durante l’omelia ha ricordato che «chi si occupa dei malati, e in particolare di questi malati, sa bene quanto isolino queste condizioni di salute. La malattia crea sempre una distanza, crea isolamento. Ma l’amore non accetta la distanza, supera tutte le distanze. Nell’amore possiamo comunicare anche quando sembra impossibile». «Non è un piacere, ma un diritto che dovete avere dalle istituzioni – ha concluso –, da chi deve curare con tutto quello che serve e dalla comunità cristiana, la cui caratteristica è l’amore che fa propria la gioia e la sofferenza».