«Negli ultimi 40 anni in Italia abbiamo attraversato una rivoluzione nell’assistenza ai neonati, soprattutto i prematuri: accanto alla tecnologia è ormai chiara l’importanza della presenza dei genitori. Come è sempre più evidente il ruolo dell’allattamento materno per tutti i neonati». Massimo Agosti è il nuovo presidente della Società italiana di Neonatologia (Sin): è docente di Pediatria all’Università dell’Insubria e direttore della Neonatologia e Terapia intensiva neonatale (Tin) all’Ospedale Del Ponte di Varese. Confessa di essersi “innamorato” della neonatologia all’inizio della sua esperienza di medico e di non essersi mai pentito: «Credo sia importante far capire quanto sia bello avere un neonato, un essere umano che nei primi mille giorni (dal concepimento ai primi due anni di vita) compie le trasformazioni più grandi dell’intera vita».
Parlare di mille giorni significa rivedere i confini della neonatologia, che si occupava del nuovo nato nel solo primo mese di vita?
È vero che sui libri di testo l’epoca neonatale si definiva precoce fino ai 7 giorni di vita e tardiva fino ai 28, per poi lasciare spazio alla prima infanzia. Ma è una divisione superata dalle evidenze scientifiche che, negli ultimi 10-15 anni, hanno confermato come ci sia un continuum, dal concepimento ai mille giorni, che condiziona la salute a lungo termine dell’essere umano. Pur passando da embrione a feto, a neonato e poi a lattante parliamo dello stesso soggetto umano che si sviluppa. Ci sono tantissime prove scientifiche sul fatto che attua una comunicazione continua con la mamma sin dalle prime settimane di gestazione. Una comunicazione non verbale: l’embrione dalle 10-12 settimane di vita intrauterina sviluppa le papille gustative, i recettori olfattivi e tocca intorno a sé. Vive all’unisono con la mamma: “respira” insieme a lei, sente (ha anche l’udito) il suo battito cardiaco. Anche il più sfortunato e prematuro sta 5,5-6 mesi nella pancia con la mamma e ne condivide tutte le emozioni: ansie, felicità, paure. È stato provato che mantiene anche memoria nelle sue preferenze di quanto ha mangiato la mamma in gravidanza. Appena nasce gli cambiamo nome, ma il soggetto è lo stesso.
Quanto conta per la salute questo periodo?
I primi nove mesi in utero e i successivi 24 dopo la nascita sono il periodo in cui si verificano i più grandi cambiamenti nella vita, nel bene e nel male. Tante malattie della vita adulta, quelle non trasmissibili, trovano spesso la loro origine in stili di vita, abitudini ed errori di questa fase: sovrappeso e obesità, che portano a diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari. Esiste anche una Società scientifica europea per le malattie fetali e neonatali a riverbero nell’età adulta. La nascita è un focus privilegiato dalla vita intra a quella extrauterina, ma certe fragilità si manifestano anche nella vita in utero.
Quindi ora i neonatologi si occupano dei nati anche oltre il primo mese?
Non c’è nessuna intenzione di invadere il lavoro dei pediatri, siamo i medici dell’epoca neonatale e vogliamo restarlo. I neonatologi si occupano del bambino oltre il primo mese se è nato molto prematuro, con sistemi integrati di follow-up. In Italia i neonati pretermine sono il 7% del totale: il 6% poco pretermine, l’1% molto o estremamente pretermine. Il neonato pretermine, che è stato curato e salvato nel momento acuto, con grande sforzo organizzativo e impegno emotivo e di risorse, poi ha bisogno di essere seguito a medio-lungo termine: le linee guida internazionali parlano di almeno 6 anni di vita. È un tema di confronto con le amministrazioni regionali e nazionali per far sì che ogni Terapia intensiva neonatale (Tin) si doti di follow-up che si interconnetta con i pediatri di libera scelta. Alcuni di questi bambini vanno a casa con necessità assistenziali non irrilevanti: possono avere difficoltà alimentari e/o respiratorie, ma non tutti e non sempre. Dobbiamo garantire cure sartoriali, su misura di quel bambino e di quella famiglia.
Quanto sono cambiate le cure ai pretermine?
Tantissimo. La svolta è avvenuta nel 1963, quando morì a soli due giorni di vita Patrick Bouvier Kennedy, figlio del presidente John Kennedy. I medici non seppero far nulla anche se il neonato era “poco pretermine”. Il presidente decise di stanziare milioni di dollari per migliorare l’assistenza, dando il via alle cure intensive neonatali. All’inizio della mia vita professionale, nel 1982, si cominciavano a vedere in Italia i risultati di questa rivoluzione tecnologica avviata negli Stati Uniti. Erano più i neonati pretermine che morivano di quelli che si salvavano, ma in quarant’anni c’è stata una trasformazione netta: oggi se un prematuro muore si fa una rivisitazione accurata di quanto fatto. La qualità delle cure in Italia è buona, anche se migliorabile, ma non omogenea: la Sin crede che ogni neonato meriti le stesse opportunità, indipendentemente da dove nasce. Ma accanto al percorso ipertecnologico ci vuole l’attenzione umana. Vale per tutti i neonati, non solo i prematuri.
Oltre alla tecnologia, quali sono le maggiori novità nell’assistenza?
Negli ultimi 30 anni si è capito che più del peso (che resta importante) conta l’epoca gestazionale, il numero di settimane di gravidanza. Il mondo neonatologico e ostetrico si interroga sulle 22-23 settimane come limite di intervento perché un neonato con prematurità di organi e apparati abbia possibilità di sopravvivenza e qualità nella sopravvivenza, soprattutto neurocomportamentale. Ma poi esiste quel bambino lì, con quella famiglia. Ed è ormai assodato scientificamente che serve la partecipazione dei genitori nelle Tin. La famiglia è parte decisiva della cura, i genitori sono “alleati terapeutici”. Noi (medici e infermieri) siamo più competenti ma dobbiamo lasciare lo spazio ai genitori prima possibile.
Tra le sue priorità figura la promozione dell’allattamento al seno. Quanto è importante?
C’è una consapevolezza diversa da trent’anni fa. Lo consigliamo per tutti i neonati, fisiologici o prematuri, anche per chi ha problemi alla nascita o malformazioni. Per i prematuri è tra i meccanismi di terapia: il neonato allattato con latte umano ha meno problematiche intestinali di uno allattato con latte in formula, per quanto prezioso e fatto con attenzione. La natura ha previsto un elemento di continuità: il latte materno ha un odore che ricorda il liquido amniotico. Fa bene dal punto di vista fisico al bambino e alla mamma (la aiuta a prevenire alcune malattie), ed è un legame di relazione, una chance da non perdere. Alla Sin c’è una Commissione sull’allattamento e sulle Banche del latte umano donato: in Italia sono molte, ma alcune zone ne sono prive.
Con la denatalità vi sentite meno richiesti?
Non credo: mi “innamorai” della neonatologia, una branca affascinante della medicina, e continuo a stupirmi. Se facciamo capire che avere un neonato è bello, se diamo sicurezza ai genitori e importanza al neonato, non risolveremo il problema dell’inverno demografico, ma forse aiutiamo a cambiare questa tendenza. Anche se ovviamente c’è bisogno di soluzioni politiche e di scelte strategiche che non competono a noi. Ma noi facciamo la nostra parte.