domenica 28 novembre 2010
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Fazio e Saviano rifiutano di ospitare nella loro trasmissione interventi di malati e di familiari dei malati che non vogliono saperne di farla finita dicendo: «Noi facciamo un programma di racconti, non di opinioni. Un programma di opinioni deve ospitare opinioni di una parte e dell’altra, ma un programma di racconti no: sceglie i racconti migliori, e ignora gli altri». Fazio e Saviano si sentono, non innovatori di un programma vecchio, ma inventori di un programma nuovo. Come un editore che fonda una nuova collana: in quella collana si riserva di mettere solo i titoli che la sua cultura e il suo gusto gli indicano. Sono tali, Fazio e Saviano? Hanno inventato un genere nuovo? Sì. Ma fanno bene a non ospitare ciò che, rientrando nell’area di quel programma, sosterrebbe una tesi diversa dalla loro? Qui è il problema. Finora la trasmissione aveva la forza d’urto di una verità che voleva apparire tale per tutti. Da questo momento la loro verità si presenta come limitata, partigiana, una porzione di verità. Se si sentono editori che costruiscono un nuovo catalogo, da quel catalogo stanno escludendo titoli importanti quanto quelli che v’includono, se non di più. Qual è il rischio? Di venir ricordati per quello che han mostrato, ma anche per quello che han nascosto. E forse più per questo che per quello. È il problema di coloro che impiantano una rivista, una trasmissione, un catalogo costruendolo come un’opera d’arte. Un’opera d’arte dev’essere tutta inedita e originale. Le famiglie italiane che nascondono al loro interno drammi di vite amate e curate al di là di ogni speranza, sono sconosciute e inedite. I casi mandati in onda eran già noti: eran "ristampe". Dicevo, Fazio e Saviano inventano un genere nuovo. Questo spiega il successo. Non usano la piazza, come Santoro, non usano il salotto, come Vespa, non usano lo studio, come Floris. La tecnica comunicativa che adoperano è la narrazione, non la discussione, non il dibattito. Il pathos con cui conquistano il pubblico è estetico, cioè artistico. E il pubblico è tanto. Lanciare una storia a quel pubblico significa pubblicarla. Quando Fazio propone di ospitare Casini a "Che tempo che fa", dice: «Così pubblico le ragioni della sua parte». Non è vero. Perché non consegnerebbe quella voce al pubblico (quale è e, soprattutto, quanto è) di «Vieni via con me», e cioè non pubblicherebbe quella tesi, ma la nasconderebbe. E Casini non è testimonianza, testimonianze sono le famiglie che parlano in prima persona. Hanno un pubblico, questi drammi? Certamente. Pari a quello offerto da "Vieni via con me"? Certamente. Eluana era accudita da suore, prima di venir prelevata e trasportata verso il suo exitus programmato. Sarebbe degno di memoria un loro racconto? Certamente. Da tutti i punti di vista, non soltanto morale ed etico, ma anche mediatico: hanno la grandezza del medico di Camus, che curava gli appestati pur sapendo di non poter guarirli. È l’amore incondizionato. Quello per cui un essere umano dice a un altro essere umano: continuerò a fare tutto per te, anche quando non potrò fare più nulla. Io spero che il catalogo di nuovi titoli venga fuori, dal lavoro di Fazio e Saviano, perché la nostra tv ne ha bisogno. Ma dev’essere un catalogo nuovo, non solo di ristampe.
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