Sulla Ru486 nei consultori del Lazio ci sono due novità, apparentemente contraddittorie: il governo regionale non ritira la contestatissima determinazione G03244 con la quale il 16 marzo la Direzione salute e politiche sociali della Regione aveva istituito un tavolo tecnico per avviare in maggio un test mirato alla distribuzione in alcuni consultori della pillola abortiva Ru486; ma allo stesso tempo il presidente Nicola Zingaretti (Pd) fa una brusca frenata durante l’animato dibattito in Consiglio regionale limitandosi a parlare di «un decreto che prevede tra le forme di attuazione dei consultori un luogo di discussione anche sulla pillola Ru486 sulla quale discuteremo» aggiungendo che «non è un tema deciso». In altri termini: non si parte con le procedure abortive avviate per la prima volta in Italia al di fuori di un ospedale, come invece annunciato in un primo momento, ma nemmeno si archivia la decisione assunta, tanto che la mozione di Olimpia Tarzia con la quale si invitava Zingaretti a ritirare il provvedimento è stata bocciata. Un modo per non ammettere apertamente la fondatezza delle contestazioni giuridiche ed etiche emerse da quando la determinazione regionale è diventata di pubblico dominio, un mese fa.
Perplessità ieri in aula non sono emerse solo dall’opposizione di centrodestra, che ha dato battaglia per tutta la seduta (anche sulla controversa assunzione al San Camillo di ginecologi scelti perché non obiettori di coscienza sull’aborto) ma anche da qualche voce dello stesso Pd, come il presidente della Commissione Sanità, Rodolfo Lena. D’altra parte, è difficilmente contestabile che la decisione di Zingaretti forzi lettera e spirito di due leggi come la 194 sull’aborto e la 405 sui consultori: né la prima né la seconda infatti prevedono che le strutture consultoriali possano essere coinvolte negli aborti, anzi, gli assegnano entrambe il ruolo fondamentale di agire in ogni modo per prevenirli.
Il Vicariato di Roma: i consultori servono per prevenire l'aborto
All’indomani della diffusione della notizia sulla decisione del governo regionale, il Vicariato di Roma aveva espresso in una nota «profondo sconcerto e forte preoccupazione». «Tale decisione – si leggeva nel comunicato – veicola il messaggio dell'aborto facile in un contesto di finta umanizzazione e rappresenta un passo ulteriore nella diffusione di una cultura della chiusura all'accoglienza della vita umana e della deresponsabilizzazione etica. La triste realtà è che i consultori sono ormai quasi privi di personale e molti versano in stato di abbandono. Essi sono ben lontani dall'offrire la dichiarata "assistenza multidisciplinare" e faticano ad assolvere al loro compito di sostegno, informazione e presa in carico della donna di fronte a una decisione sempre drammatica. Con questa scelta i consultori verranno ridotti a uffici di mera distribuzione di farmaci abortivi, acuendo nel loro personale le questioni relative all'obiezione di coscienza». Tutto ciò, concludeva la nota, «nega nei fatti uno degli obiettivi della legge 194, quello della tutela sociale della maternità e della pianificazione di strategie di prevenzione che agiscano sulle cause culturali, economiche e psicologiche del ricorso all'aborto. Strategie che proprio nei consultori dovrebbero trovare un luogo elettivo di realizzazione». L'aborto «rappresenta sempre una sconfitta per tutti, e nella solitudine delle pareti domestiche questa esperienza, che viene propagandata come facile e sicura, diventa ancor più devastante e dolorosa».
Il ministro Lorenzin: decisione regionale infondata
La sperimentazione della pillola abortiva Ru486 nei consultori anziché in ospedale «costituisce oggetto di una decisione esclusiva dell’amministrazione regionale, la quale, allo stato attuale, non sembra essere fondata su di alcuno studio sperimentale approvato, né su novità scientifiche sopravvenute né su pareri di comitati etici». Era stata netta, il 19 aprile, la risposta del ministro della Salute Beatrice Lorenzin a un’interrogazione alla Camera di Eugenia Roccella (Idea). «Ricordo infatti – aveva aggiunto il ministro – che le condizioni per effettuare l’aborto farmacologico in coerenza con la legge 194 sono innanzitutto quelle indicate dalla legge stessa, che ha previsto che esso debba avvenire presso gli ospedali, le case di cura autorizzate dalla Regione e presso i poliambulatori pubblici, adeguatamente attrezzati e funzionalmente collegati agli ospedali, parimenti autorizzati dalla Regione. La legge 194 non sembra prevedere, quindi, che i consultori possano essere considerati fra le sedi in cui effettuare interventi di Ivg. È dunque evidente che la legge ha voluto garantire, prima di ogni cosa, le massime condizioni di sicurezza per la salute della donna con riferimento a tutte le possibili modalità di IVG, ivi compresa, ovviamente, anche quella farmacologica. Nello specifico dell’aborto farmacologico – aveva precisato Beatrice Lorenzin – devo, altresì, ricordare che sono ancora in vigore le linee di indirizzo elaborate, sulla base di ben tre pareri del Consiglio Superiore di Sanità (del 2004, del 2005 e del 2010), da una commissione interna al Ministero stesso e approvate in data 14 giugno 2010, e tuttora disponibili sul sito istituzionale del Ministero. Tali linee di indirizzo risultano ancora valide perché non sono cambiati, in questi anni, i farmaci utilizzati per la Ivg». Dunque, bocciatura su tutta la linea.
Il ricorso al Tar
Contro il provvedimento la Federazione italiana dei centri e movimenti per la vita ha presentato un ricorso al Tar del Lazio. Obiettivo dell’azione legale l’annullamento della determinazione orientata all’«istituzione di un tavolo tecnico regionale per l’elaborazione di linee di indirizzo regionali sulla prescrizione dei contraccettivi» nella parte in cui si propone di «elaborare un progetto per l’attivazione di una fase sperimentale della durata di 18 mesi per eseguire l’Ivg farmacologica in regime ambulatoriale presso alcuni consultori funzionalmente collegati con le strutture ospedaliere».
Olimpia Tarzia (Per): è solo la prima vittoria
«Il presidente Zingaretti oggi in Aula ha ribadito di essere orgoglioso degli scellerati provvedimenti adottati in tema di legge 194 e ciò è semplicemente vergognoso – afferma Olimpia Tarzia, del Movimento Per, vicepresidente della Commissione regionale cultura, appena conclusa l’animata seduta del Consiglio – ma allo stesso tempo, se pur in maniera non esplicita, è stato costretto a fare un passo indietro rispetto alla determinazione puramente ideologica che dovrebbe portare all'elaborazione di un progetto per eseguire l'aborto chimico in regime ambulatoriale nei consultori. Possiamo considerarlo un primo passo verso – speriamo – un'archiviazione definitiva di un provvedimento illegittimo e irragionevole». Tarzia punta il dito anche su alcune affermazioni di Zingaretti in Consiglio regionale, dove il presidente «ha tentato di mantenere in piedi il bluff fino alla fine, dichiarando che, sull'utilizzo della pillola Ru486 nei consultori si stavano seguendo le direttive dei piani operativi approvati dal Ministero della Salute. Niente di più falso, tanto è vero che lo stesso ministro Lorenzin, richiamando la legge 194, lo ha sconfessato». Il governatore del Lazio, aggiunge Olimpia Tarzia, «è stato costretto a precisare che le misure da adottare relative alla fase sperimentale saranno valutate più avanti dopo un attento approfondimento. A questo punto confido che la sperimentazione possa non avviarsi mai, perché, forse, siamo riusciti a insinuare in Zingaretti qualche dubbio, almeno sulla legittimità e pericolosità del provvedimento».
Gigli (Movimento per la vita): obiettori e pillole, copione già scritto
«Zingaretti con una mano vanta politiche per la maternità e con l'altra le contraddice, promuovendo l'aborto farmacologico con la Ru486 nei consultori familiari, stravolgendo la loro finalità e vocazione». È il commento di Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la vita, che al governatore chiede «almeno il pudore di risparmiarci la commedia di un finto approfondimento su questa possibilità, visto che l'epilogo è già deciso sulla base degli stessi orientamenti ideologici che avevano portato la Regione a bandire concorsi riservati per medici non obiettori all'Ospedale San Camillo. La deriva individualistica radicale del Pd continua inarrestabile. Il popolo della vita avrà modo di ricordarsene presto».
Gambino (Scienza & Vita): adesso un ripensamento definitivo
«Confido davvero – commenta il presidente di Scienza & Vita, Alberto Gambino – che la prudenza che ha suggerito al governatore Zingaretti di non rendere immediatamente operativa la somministrazione della pillola Ru486 nei consultori, ma di istituire un gruppo di lavoro che indichi la strada assolutamente più rispettosa della legge, possa sfociare in un definitivo ripensamento a favore della validità ancora oggi della ospedalizzazione, che – oggettivamente – rappresenta un contesto clinico certamente più adeguato nei confronti della donna. I consultori, piuttosto, andrebbero rafforzati quali luoghi di prevenzione dell'aborto, offrendo percorsi alternativi, tra cui anche l'ampliamento del raggio delle possibili adozioni del bambino che non si desidera, con l'effetto di prevenire le pesanti conseguenze di ordine psicologico che spesso attanagliano la donna dopo una scelta abortiva».