L’ultimo grido di questa corsa al ribasso nella vita ha toccato addirittura il suo inizio: la formazione e il primo sviluppo di un uomo e di una donna. La notizia è quella delle cliniche di procreazione medicalmente assistita low-cost. Ideata originalmente dal dottor Jonathan Van Blerkom all’Università del Colorado (Usa) in vista di un’espansione della fecondazione artificiale nei Paesi più poveri (colonialismo procreativo?), la 'provetta economica' sta prendendo piede anche in Europa. Due leader di questa nuova deriva della procreatica sono l’Istituto per le tecnologie della fertilità di Genk (Belgio) e la clinica Create Health di Londra.
L’offerta alle coppie infertili è quella di un pacchetto biomedico 'tutto compreso' – dalla stimolazione ovarica alla fertilizzazione in vitro, dalla coltura degli embrioni al loro trasferimento in utero – realizzato con varianti operative delle metodiche classiche che impiegano prodotti, strumenti e manipolazioni dai costi assai più contenuti di quelli attualmente sostenuti dai centri clinici, consentendo così di praticare prezzi notevolmente inferiori a quelli di mercato (ci ripugna usare la parola 'mercato' a proposito della procreazione umana, ma il business della fecondazione artificiale non può essere descritto altrimenti). Secondo gli esperti, le tariffe potrebbero scendere dagli attuali 3.000-5.000 sino a 200-300 euro per ciclo di trattamento (con o senza gravidanza a termine). Il condizionale è d’obbligo, sia sulla validazione clinica delle nuove procedure (tutt’ora in corso), sia per quanto concerne i costi effettivi.
Ma come si è giunti a questo loro abbattimento? Tirando al risparmio sul alcuni fattori: la sostituzione delle costosissime gonadotropine ricombinanti, usate per la stimolazione ovarica, con farmaci più economici; l’uso, in alternativa ai tecnologici incubatori sterili ad anidride carbonica per la coltura degli embrioni, di mezzi artigianali di generazione del gas necessario per lo sviluppo del concepito, mantenuto in piccole camere termostatiche; e l’adozione dei più comuni microscopi da banco al posto dei complessi sistemi ottici di monitoraggio della crescita embrionale. Il tutto unito a una drastica riduzione delle ore di lavoro del personale specializzato. Semplice ed efficace, almeno in apparenza.
In realtà, si tratta una spending review per le cliniche della fertilità dal potenziale costo umano elevatissimo. I rischi per la sopravvivenza e lo sviluppo degli embrioni e per la loro salute e quella della madre sono evidenti a chi ha un minimo di familiarità con queste procedure biotecnologiche e cliniche. Un esempio per tutti: la sterilità e il controllo delle condizioni microambientali di sviluppo in vitro sono messi a rischio da laboratori, apparecchiature e manipolazioni non idonei a garantirle.
Basterebbe guardare, con gli occhi di chi conosce le tecniche di embriologia e biologia cellulare, una delle fotografie apparse in Internet: ritrae una biologa nella clinica Create Health mentre lavora al microscopio senza guanti (!), che tiene nella mano destra una capsula contenente gameti o embrioni (se non è una fiction, l’immagine fa inorridire anche uno studente alle prime armi in laboratorio). La vita dell’uomo – embrione, bambino, adulto o anziano – non ha prezzo, e per questo da sempre denunciamo l’ingiustizia della generazione e manipolazione in laboratorio del concepito.
Giocare al ribasso con la vita umana, nella sanità come in ogni altro servizio sociale, non è degno né della medicina né del legislatore che è chiamato a normarne l’esercizio secondo il principio etico e giuridico fondamentale della tutela del più piccolo e debole dagli interessi dei più grandi e forti. L’economia di mercato non può soffocare il diritto alla vita e alla tutela della salute.