La lezione essenziale della pandemia? «Abbiamo imparato che la tecnologia è utile, ma non può sostituire la relazione, perché è la relazione che cura». Con queste parole del segretario generale della Cei monsignor Stefano Russo, la Chiesa propone la sua riflessione sull’impatto del Covid. Lo fa da ieri a Milano nel convegno nazionale di Pastorale della salute, con tre giorni in presenza e online, per contribuire a mettere in salvo ciò che abbiamo imparato. Come la necessità di «Gustare la vita, curare le relazioni», secondo il titolo del convegno, aprendo il quale Russo ha ricordato di questi mesi «la terribile solitudine degli anziani nelle Rsa, dei disabili nelle case, dei malati nelle stanze, del “ritiro sociale” di chi ha perso la speranza, sconfitta dalla disillusione»: è in questa «devastante maniera» che «ci siamo resi contro della preziosità impagabile delle relazioni, della necessità di sentirsi ancora e sempre più parte di una comunità». L’avremo compreso? Oggi pare evidente che bisogna «non solo prendersi cura delle persone ma anche curare le relazioni stesse»: perché abbiamo compreso che «si ammalano, soffrono», «hanno bisogno di manutenzione, sollecitudine, amore». La Cei chiede di non dimenticare che «la relazione autentica è sempre relazione d’aiuto, di reciprocità, anche quando pensiamo di non averne bisogno e che quello che stiamo facendo sia “normale”».
Nulla è scontato. Neppure l’«incredibile contributo fornito dalla Chiesa nelle strutture sanitarie e socio-assistenziali», come ha riconosciuto il sindaco di Milano Beppe Sala. Perché «se Milano non è crollata è grazie alla sua anima ambrosiana», evocata anche dal vescovo ausiliare Paolo Martinelli, con l’arcivescovo di Gorizia e presidente della Commissione Cei per la Carità a ricordare che «il servizio alla salute deve entrare nelle nostre comunità».
Il segretario della Cei apre le sessioni plenarie del Convegno nazionale su «Gustare la vita. Curare le relazioni» delineando le sfide della pandemia per la Chiesa, la società e le persone
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