martedì 21 gennaio 2020
Si è spento il 34enne ex calciatore che con tutta la sua vita, insieme a papà Giancarlo e mamma Loredana, ha testimoniato l'amore alla vita sempre. Sedazione profonda per le ultime ore.
Alessandro Pivetta

Alessandro Pivetta - Bellaspiga

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Dal giorno di Ferragosto del 2005 Alessandro Pivetta era in quello che gli scienziati chiamano «stato di minima coscienza». Un incidente d'auto a vent'anni aveva fermato la sua corsa di atleta. Giocava infatti a calcio in serie B e per questo non aveva mai voluto prendere la patente, temendo di farsi male. Alla guida c'era un amico. In questi 15 anni Alessandro con i suoi genitori Giancarlo e Loredana non ha però mai smesso di testimoniare il valore della vita e donare tutto se stesso: la voce della sua famiglia si era sempre alzata chiara e forte per dire che la vita ha senso fino all'ultimo respiro. Nel nome di Alessandro si era costituita un’associazione, gli Amici di Ale, e a Pordenone stava per sorgere una Casa dei risvegli. Alessando, 34 anni, è morto, lasciando dietro di sé una scia di luce i cui segnali «Avvenire» ha raccontato più volte nel corso degli anni.

Alessandro Pivetta con la madre

Alessandro Pivetta con la madre - Bellaspiga

«La salita al cielo di Ale non fermerà i nostri progetti – raccontano ora madre e padre –, entro fine mese porteremo il progetto della casa in Regione e con ancora più forza». «Da un anno le condizioni di Ale stavano peggiorando, negli ultimi giorni l'anemia era gravissima, il midollo non funzionava più – spiega Giancarlo Pivetta –, così in accordo con i medici abbiamo chiesto che le sue ultime ore di vita fossero accompagnate con la sedazione assistita. Ale non ha sofferto. Ha sempre donato tutto di sé e ora continuerà a farlo: domani donerà le cornee e i bulbi oculari. Qualcuno continuerà a vedere il mondo con gli occhi azzurri di Ale».
L'ospedale di Pordenone, reparto Medicina d'urgenza, è stato sempre vicinissimo alla famiglia e ha agito con grande professionalità. «Nessuno ha accorciato la vita di Ale, la sedazione profonda non è eutanasia», ricordano i familiari che sempre si sono battuti per questi valori: «È solo un modo dignitoso di morire senza provare sofferenza».

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