martedì 21 maggio 2013
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Il nodo scoperto nel rapporto fra media e ragazzi non è tanto quello delle nuove generazioni «influenzate» dagli strumenti della comunicazione. «La questione su cui riflettere è che i minori si rivolgono ai media per imparare a vivere», spiega Elisa Manna, responsabile del Settore politiche culturali del Censis e membro del Consiglio nazionale degli utenti. Per la sociologa, i ragazzi «hanno come la sensazione che le tradizionali agenzie formative, a cominciare da famiglia e scuola, non siano in grado di insegnare loro comportamenti utili nelle diverse circostanze. E soprattutto i media li hanno persuasi che la vita vera è quella rappresentata su uno schermo della tv o del computer».Da qui occorre partire per imbastire un corretto approccio con i media fra le mura domestiche, in classe o in parrocchia. Ed è l’itinerario che propone Manna nel suo libro Anima e byte (Paoline; 110 pagine; 10,50 euro) dove analizza il rapporto fra media, valori e nuove generazioni alla luce della ricerca scientifica internazionale più autorevole presentata con uno stile divulgativo.«Bisogna sfuggire da due schieramenti – afferma la sociologa –: quello dell’allarmismo per gli effetti che i media producono e quello del fatalismo di chi sostiene che i media siano portatori di libertà ed emancipazione. La strada da imboccare passa da una consapevolezza molto più costante e serena per comprendere l’influenza dei media sulla questione antropologica, cioè sulla scala dei valori, sui modelli di vita, sul pensiero dei ragazzi. Le ricerche dimostrano che hanno ripercussioni su numerosi ambiti nella costruzione della personalità: dall’amicizia alle relazioni familiari, passando per i legami d’amore, il rapporto con la società, i processi di conoscenza, l’atteggiamento rispetto alla sessualità. Un ventaglio di dimensioni che determinano il modello culturale delle nuove generazioni».Manna cita alcuni esempi per far crescere la sensibilità. «Alcuni studi del Nord Europa dicono che i giovani usano Internet come prova iniziatica. Tanto più si ha il coraggio di andare su siti spaventosi e terrificanti, tanto più ci si sente forti e si conquista una posizione all’interno del gruppo di amici». Ancora: «I giovani utilizzano il web o la tv come una via d’apprendimento per gestire situazioni di violenza o di tensione». Altro caso. «L’ipersessualizzazione dei contenuti trasmette al minore il convincimento che la vita sia una selva di occasioni e che occorra adeguarsi».Ecco perché genitori, insegnanti, animatori parrocchiali hanno un ruolo prezioso di fronte allo scompiglio dei valori che i mezzi di comunicazione e la Rete possono creare. «Serve interagire con i messaggi mediatici e comprendere come i punti di riferimento si stiano modificando – chiarisce Manna –. Prendiamo l’immagine della donna: è identificata dai media con la seduzione o la sensualità. E tutto ciò impoverisce il percorso di crescita. Se genitori, insegnanti o educatori non se ne rendono conto, rischiano di non elaborare una critica costruttiva nei confronti dei modelli proposti. Anzi, talvolta sembra quasi che gli stessi adulti siano prigionieri di questi schemi e di conseguenza non siano stimolati a rompere gli stereotipi intorno ai cui i ragazzi si formano. Serve nutrire attenzione verso una cultura dell’omologazione e della schematizzazione».In aiuto possono venire i corpi intermedi. «Se la società civile è consapevole e organizzata – sottolinea Manna – possiamo avere regole più incisive o sostegni per chi ha il compito di educare. Un esempio è costituito dal Comitato Media e Minori del quale anche Avvenire chiede da tempo la ricostituzione».Certo, non va visto solo il lato negativo. «Le buone pratiche ci sono – afferma la sociologa –. Grazie ai nuovi media i giovani tornano a leggere il giornale, seppur nella versione online. Ma anche qui c’è un rischio: buttare l’occhio su una testata web per pochi minuti può dare l’idea di aver capito tutto quanto accade nel mondo. Invece si tratta di una conoscenza "raccogliticcia" che non ha nulla a che vedere con il sapere».
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