giovedì 4 luglio 2024
Sempre più estesi monitoraggio e screening alla nascita, crescono i centri di riferimento, avanza il Piano nazionale. Nel10° dossier Uniamo (nei 25 anni della rete associativa) una lezione importante
La presentazione del rapporto Monitorare a Roma

La presentazione del rapporto Monitorare a Roma

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Attento e attivo, tanto da essere preso a esempio in Europa per le norme e per l’assistenza. Nel campo delle malattie rare il nostro Paese ha condotto azioni notevoli, migliorando il monitoraggio tramite i registri regionali e implementando il pannello di screening alla nascita. Ma oltre alle luci, dimenticare le ombre sarebbe un errore: non tutte le Regioni hanno infatti ancora un centro di riferimento, e la disomogeneità nell’erogazione delle cure si rileva ancora una volta fra Nord e Sud.

A tratteggiare il quadro è il decimo rapporto “Monitorare”, presentato a Roma il 3 luglio dalla Federazione italiana malattie rare Uniamo che compie quest’anno i 25 anni di attività. Il documento mostra come l’attenzione da parte del Servizio sanitario nazionale sia cresciuta verso i pazienti, a cominciare dai percorsi diagnostici terapeutici assistenziali che nel 2014 erano 182 mentre nel 2023 sono saliti a 320. Anche la diffusione del monitoraggio, attraverso i registri regionali, denota una sensibilità in aumento: secondo i dati, dieci anni fa, le persone iscritte erano 112.749 divenute poi 469.439 nel 2022. «Oggi un paziente su sei ha meno di 18 anni, di questi il 38% ha malformazioni congenite, cromosomopatie e sindromi genetiche, mentre due su sei è over 60», spiega Romano Astolfo, statistico della società Sinodè che ha curato il rapporto. «In dieci anni – aggiunge – per i malati la probabilità di morte sotto i 5 anni si è ridotta del 17%. Ma, all’interno del trend positivo, notiamo situazioni differenti in alcune zone geografiche oltre alla mobilità sanitaria regionale che interessa ancora circa il 20% della popolazione complessiva dei malati rari».

Il capitolo dedicato alla diagnosi è significativo e mostra i passi compiuti: « Nel 2014 – continua Astolfo – erano tre le patologie individuate tramite lo screening neonatale, nel 2023 sono divenute 49». A oggi, sono dodici le Regioni che hanno allargato il pannello anche a patologie come l’atrofia muscolare spinale (Sma), mentre sono sette quelle che stanno sviluppando progetti pilota per inserire le cardiopatie congenite. Anche i centri di riferimento sono aumentati: nel 2014 erano 199, diventati 260 nel 2023, tuttavia «la distribuzione territoriale – commenta Paola Bragagnolo, ricercatrice della società Sinodè – è molto disomogenea e anche per la erogazione delle terapie c’è una diversa distribuzione regionale con evidenti differenze fra Nord e Sud » . Ma il Paese è anche un attrattore per i pazienti affetti da malattie rare provenienti da altri Paesi europei: solo nel 2022 sono stati quasi 20mila le persone curate nei centri di riferimento, contro i 118 pazienti italiani che hanno preso la strada dell’estero.

Al momento l’Italia è inoltre alle prese con l’implementazione del Piano nazionale per le malattie rare 2023-26 che prevede 77 obiettivi e vede collegate 115 azioni. Dal punto di vista delle risorse, sono state allocati per il Piano 25 milioni di euro per il 2023 e altrettanti per l’anno in corso. Per ora, sedici Regioni hanno provveduto a individuare i centri di coordinamento regionali e i centri di riferimento e di eccellenza, solo sei hanno impegnato con atto formale le risorse assegnate per l’anno 2023. «Con un’azione sinergica possiamo migliorare la cura e ottimizzare la spesa. Su queste tematiche non ci sono differenze politiche perché siamo tutti sulla stessa barca», assicura Marcello Gemmato, sottosegretario alla Salute con delega alle malattie rare, che rammenta come a oggi il 6% della spesa farmaceutica sia destinata ai farmaci orfani secondo un trend crescente che consente ai pazienti più fragili la possibilità di cura. Ottimista si dice anche Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo: « Il sistema – afferma – è pronto, abbiamo leggi e un Piano nazionale. Servirebbe però un’ulteriore spinta per sostenere la presa in carico multidisciplinare del paziente per fare teleassistenza e collegare i centri».

In un video-messaggio Alessandra Locatelli, ministro per le Disabilità, invita a concentrare l’attenzione non solo sulla malattia. « Dietro una condizione di complessità – rammenta – c’è sempre la persona. L’approccio non può prescindere dal ricordarci che la dignità deve essere garantita anche quando c’è una patologia o più patologie in corso. La persona va rispettata nella sua dignità nella scelta di un percorso di cura o nel poter avere relazioni e nella possibilità di autodeterminarsi. Tutto questo è delicato e complesso ma anche specifico per ognuno». Chi sottolinea la collaborazione fra il livello nazionale ed europeo è Simona Bellagambi, delegato estero di Uniamo e membro del board dell’alleanza delle associazioni Eurordis. «Ogni livello nutre l’altro – commenta Bellagambi, intervenuta in videocollegamento –. La Commissione europea ha fatto tanto e sono molti i progressi. La situazione sta cambiando e nonostante l’ottimismo ci sono timori che altri temi cogenti attirino l’attenzione e i finanziamenti, lasciando ai margini sanità e malattie rare. La nostra azione di advocacy torna quindi attuale perché insieme vogliamo che tutte le azioni siano raccolte in una cornice per dare indicazioni precise agli Stati membri. Per questo – conclude – abbiamo mandato una lettera alla presidente uscente Ursula von der Leyen per chiedere che il Piano d’azione delle malattie rimanga una priorità».

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