Caro direttore, sul tema delle unioni civili occorre un surplus di buon senso e di ragionevolezza, poiché quasi mai le forzature sui tempi sono la risposta più ragionevole alle chiusure e ai fondamentalismi. Ha detto bene, qualche giorno fa, Massimo Cacciari: la politica non sembra ancora pronta a rapportarsi con mutazioni antropologiche così radicali e profonde. E soprattutto non sembra ancora capace di cimentarsi sul piano di una virtuosa e rispettosa laicità. Bene sarebbe, in un contesto così complesso, ispirarsi al sano principio di cautela e precauzione, trovando un possibile terreno comune intorno al quale costruire una buona convergenza. A me pare che questo terreno possa essere il riconoscimento, nello spirito dell’art. 2 della nostra Costituzione, dei necessari diritti personali a fronte di legami stabili tra due persone, che accrescono il bene comune costituito dal tessuto relazionale ed affettivo, in una società sempre più individualista e frammentata. E ciò a prescindere dalla natura della relazione e dalla identità sessuale dei contraenti il legame. Su questo terreno vi è una larghissima identità di vedute nella società italiana, oltre che in Parlamento: ciò costituisce un valore e insieme anche una base culturale per minare alla radice ogni tentazione di omofobia e di pregiudizio rispetto ai diversi stili di vita. Perché non si valorizza questa base comune? Perché si punta invece a portare la legislazione su una insidiosa rotta di collisione con l’istituto del matrimonio, il quale è certo anche una forma di legame sociale, ma è anche molto di più, di peculiare e di diverso? Non c’è nella società italiana una base comune di convergenza culturale sull’idea del matrimonio tra persone dello stesso sesso e men che meno sull’idea che una coppia omosessuale possa essere abilitata a ottenere dei figli: e questo è un dato di fatto. La proposta di legge Cirinnà andava invece in questa direzione, al di là degli accorgimenti terminologici. La risposta da parte di chi – come noi – non condivide questa impostazione non può essere peraltro il tentativo di archiviare la questione. Sappiamo, anche per esperienza pregressa, che questo equivale a mettere la testa sotto la sabbia e ad allontanare ogni soluzione ragionevole ed equilibrata. Si sta cercando da più parti di trovare una via d’uscita nel senso di un compromesso virtuoso e non pasticciato o ambiguo. Ma ciò è piuttosto arduo senza rivedere alcuni elementi di impianto della proposta Cirinnà ed è palesemente impossibile senza poter disporre di tempi non lunghissimi ma adeguati. A ottobre la Chiesa Cattolica celebrerà il suo secondo Sinodo sui temi della famiglia e tutto lascia pensare che sarà un passaggio fondamentale, nel segno certo dei princìpi consolidati, ma anche della disponibilità al dialogo e alla comprensione dei cambiamenti sociali che connota il magistero di papa Francesco. Sarebbe ben triste se, nel Paese che – di fatto – ospita il Sinodo, la politica si caratterizzasse invece per scontri ideologici, contrapposizioni manichee e forzature sui tempi e sui contenuti. Un minino di disarmo bilanciato e condizionato sarebbe in questo momento la scelta più giusta per tutte le parti politiche (e in modo particolare per i politici di ispirazione cristiana ovunque schierati) e consentirebbe di chiudere la partita legislativa in autunno con unici vincitori gli italiani.
*Deputato e presidente di Democrazia Solidale Ho ragionato spesso sulle ipotesi di regolazione delle unioni tra persone dello stesso sesso, caro presidente Dellai, continuando ad ascoltare con attenzione ciò dalle diverse parti in causa è stato via via argomentato e anche ciò che viene ripetuto da coloro che non intendono ascoltare niente e nessuno a parte se stessi. Insisto, da tempo, sull’individuazione di una «via italiana», chiaramente non matrimoniale, per uscire dall’impasse senza cadere negli errori compiuti in altre nazioni nelle quali si è introdotto anche un “diritto ai figli”, in questo caso delle coppie omosessuali, con tutto ciò che di sconvolgente ne consegue. Lei evoca tale «via» a suo modo, indicando un percorso che valorizzi la «base comune » solidarista, sulla quale c’è convergenza nella nostra società, e che eviti le inaccettabili insidie del similmatrimonio. Mi pare un approccio sensato. A differenza di altri. Cioè di quello di coloro che progettano di mettere al lavoro il Parlamento in modo forzato e nel cuore della notte su una proposta di legge, il cosiddetto ddl Cirinnà, che nell’attuale versione è pessima e avrebbe bisogno, come anche lei sottolinea, presidente Dellai, di essere rivista in «elementi di impianto». In questo caso, la notte non porterebbe affatto consiglio, ma aggiungerebbe tensioni a tensioni, propiziando uno scriteriato e deleterio clima di scontro. E non solo in Senato. Chi ha responsabilità, nel Pd come in tutte le altre forze parlamentari, farebbe bene a rendersene conto. Marco Tarquinio