E' passato oltre un anno dall’emanazione delle prime linee guida con le quali le autorità indiane volevano imprimere un giro di vite alla pratica della maternità surrogata, da tempo sfuggita loro di mano sotto la fortissima pressione di una domanda mondiale in cerca di un mercato di mamme in affitto che fosse allo stesso tempo a buon mercato e senza troppi controlli. Furono in particolare single e omosessuali – evidentemente clienti abituali del mercato indiano degli uteri in affitto – a finire sotto la lente di ingrandimento del Ministero degli Interni, che impose i due anni di matrimonio alle spalle come requisito essenziale per affittare il ventre di una donna per la gravidanza del proprio figlio.
È stato però necessario arrivare al novembre dello scorso anno per l’entrata in vigore di quei provvedimenti. Le restrizioni hanno puntato sulla necessità da parte di chi intende usare madri surrogate indiane di munirsi di un visto rilasciato a fini medici e non più semplicemente turistici. Una decisione che, nelle intenzioni del governo indiano, doveva creare una sorta di muraglia per arginare un fenomeno ormai fuori controllo. Da subito la regolamentazione è però stata oggetto di contrasti interni.
Due mesi fa il Ministero degli Interni e quello della Sanità hanno infatti espresso pareri discordanti in merito al ricorso alla maternità surrogata da parte di un single. Spunto per il dissenso è stato il caso di un cittadino sudanese che aveva presentato appello – già prima della loro entrata in vigore – contro le nuove linee guida. La clinica cui si era rivolto aveva opposto rifiuto alla richiesta di trovare una madre surrogata, adducendo il rispetto delle nuove regole, inducendo il diretto interessato a rivolgersi alla Corte del Punjab e Haryana.
Davanti a questa vicenda il Ministero degli Interni ha ribadito le restrizioni per i single, mentre il Ministero della Sanità, rappresentato dall’Indian Council of Medical Research (il Consiglio indiano di ricerca medica), ha proposto un progetto di legge sulla fecondazione assistita che contempla la possibilità per le persone sole di ricorrere alla maternità surrogata. Il caso, registrato al numero 15490/2013, è ancora aperto – la prossima udienza è fissata per il 10 febbraio – e non fa che aumentare l’incertezza in un ambito già così nebuloso come quello della maternità surrogata.
Nel frattempo gli ingranaggi di quello che è un vero e proprio business, con decine di cliniche ufficiali e clandestine all’opera, continuano a muoversi a tutta velocità, e con colpi di scena pressoché continui. L’ultimo dei quali assai eloquente rispetto all’orientamento delle autorità indiane. Nei giorni scorsi infatti il governo ha dato il via libera all’importazione di embrioni congelati da Paesi esteri. Com’è facile intuire, il provvedimento costituisce un impulso notevole per tutte quelle attività incentrate sul turismo riproduttivo, come appunto la maternità surrogata. Cittadini stranieri potranno varcare i confini indiani con embrioni pronti per essere impiantati in uteri in affitto una volta ricevuto il nulla osta dal Consiglio indiano di ricerca medica, incaricato di procedere al controllo di qualità della "merce" importata.
Quest’ultima scelta non suona certo come uno scoraggiamento del mercato delle mamme a noleggio, che accettano per poche centinaia di euro di farsi impiantare un embrione creato in provetta (e magari importato dagli aspiranti genitori) e affrontare nove mesi di gravidanza per poi consegnare il bambino. Gli effetti sono raccontati dai giornali indiani.
Risale al 22 dicembre la notizia di una clinica di Hyderabad ha festeggiato il duecentesimo bambino nato grazie all’offerta di pacchetti comprendenti fecondazione artificiale e maternità surrogata dedicati a cittadini americani. Il traguardo è stato raggiunto in cinque anni di attività dal Kiran Infertility Centre, che rivolge la sua offerta anche a cittadini di Regno Unito, Australia, Argentina e Singapore.
Sul sito della clinica l’evento è stato celebrato congratulandosi con il signor Marcio Clerici di New York per la nascita del figlio maschio. Nessun riferimento alla moglie, sempre che una moglie ci sia. Il 7 gennaio, invece, ben tre coppie hanno avuto il loro figlio su commissione: gli indiani Sabarish e Swati, i britannici Gary e Tracy e gli spagnoli Ramon e Sonia. I primati sono persino un vanto per l’industria indiana degli uteri in affitto.
Un recente reportage della Bbc documenta una nuova tendenza che si sta diffondendo in India: quella di coppie che si rivolgono a più madri surrogate contemporaneamente. La storia raccontata riguarda una coppia di cittadini inglesi che in marzo avrà quattro figli da due donne diverse. I due, 35 anni lui, 36 lei, avevano fornito i loro gameti alla Corion Clinic di Mumbai. In laboratorio erano stati creati sei embrioni, suddivisi equamente in due uteri in affitto, un servizio che la clinica offre per aumentare le probabilità di portarsi a casa un figlio.
A distanza di un mese l’annuncio dei medici alla coppia: entrambe le madri surrogate portavano in grembo due gemelli. Il personale della clinica, secondo quanto riferisce la Bbc, è stato preso dal panico perché mai prima era accaduta una cosa del genere: «È quello che volete? – avrebbero chiesto ai due –. Altrimenti faremo ciò che è necessario...». Una vera e propria catena di montaggio, pronta a eliminare i prodotti in sovrappiù attraverso l’aborto, opzione scartata però in questo caso dai genitori pronti almeno ad accogliere i quattro figli.
Che quello dell’affitto di uteri sia un vero e proprio mercato, allergico anche a una sia pur minima regolamentazione, è stato reso evidente, tra gli altri, anche da un’inchiesta apparsa su Time. Il giro di affari legato alla maternità surrogata veniva stimato in circa 2,5 miliardi di dollari, e cliniche come l’International Fertility Centre di Nuova Delhi prevedevano una flessione del 5-7% a causa delle restrizioni normative.
Rita Bakshi, che dirige il centro, lamentava che una coppia dovesse essere regolarmente sposata per avere un figlio da madre surrogata, mentre Doron Mamet, titolare di un’agenzia con sede in Israele ma sguardo rivolto all’India, dove aveva inviato oltre 100 coppie omosessuali alla ricerca di un figlio, ha parlato di norme «omofobe» che minerebbero la reputazione dell’India come società aperta.