Quando un paziente si sveglia dal coma in stato vegetativo, non è solo la sua esistenza a entrare in un tunnel, talora senza uscita. Anche la sua famiglia viene messa a dura prova, talvolta fino a restarne devastata. Ogni giorno, mentre il paziente è ancora in ospedale, la sua famiglia attende angosciata un segnale di ripresa. Col passare del tempo, comincia la ricerca affannosa di un istituto di riabilitazione. Quando anche questo ha esaurito il suo compito, allora subentrano la rabbia o la disperazione. Ci si affanna a cercare centri, anche all’estero, in grado alimentare la speranza. Altri, senza guida né aiuto, cercano disperatamente una struttura di accoglienza per lungodegenti. Tutti sono costretti a ridimensionare il proprio tenore di vita e a riorganizzare esistenza, lavoro e modalità di convivenza, cercando a tentoni le soluzioni più adatte. La risposta dei servizi è molto variegata sul territorio nazionale e le famiglie debbono districarsi in una giungla di competenze, regolamenti e responsabilità, tentando di costruirsi da sole un percorso di cura. In questa lotta per la sopravvivenza, può anche consumarsi la disgregazione del nucleo familiare, sempre a rischio di cedere e costretto a chiedersi con angoscia cosa ne sarà del proprio caro quando non ci sarà più qualche parente ad assisterlo. Le famiglie sono anche costrette a interrogarsi sulle ragioni per cui mantenere in vita il loro congiunto, mentre in molti attorno ripetono che quella non è vita degna di un essere umano, che i loro sforzi sono privi di senso, che la morte del congiunto potrebbe essere un’opzione pietosa e una scelta di libertà. Le famiglie vivono tuttavia in gran parte un eroismo quotidiano, convinte di mantenere con il proprio caro un rapporto significativo, generando forme di solidarietà e associazioni per ottenere dalle istituzioni risposte in favore di pazienti senza voce. La recente approvazione da parte della Conferenza Stato-Regioni delle linee guida per l’assistenza delle persone in stato vegetativo e di minima coscienza costituisce oggi il primo provvedimento per un intervento coordinato a loro favore. Il documento si fonda sulle conclusioni della Commissione tecnico-scientifica del ministero della Salute che corona un duro lavoro, incominciato già nel settembre 2008 e tenacemente perseguito dal sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella. Nel testo si riconosce che le persone in stato vegetativo sono a pieno titolo membri della comunità e portatori di diritti, meritevoli, per lo stato di gravissima disabilità in cui versano, di una risposta solidale da parte della società. Essi hanno diritto a una corretta diagnosi, secondo criteri codificati e utilizzando metodi e strumenti riconosciuti dalla comunità scientifica per limitare il tasso inaccettabilmente elevato di errore diagnostico e per orientare la riabilitazione. La Conferenza Stato-Regioni si è impegnata all’omogeneità dei livelli di assistenza su tutto il territorio nazionale, per garantire equità nell’accesso ai servizi e per evitare alle famiglie peregrinazioni inutili e costose alla ricerca di soluzioni miracolistiche. Per mettersi al fianco delle famiglie è stato disegnato un percorso riabilitativo e assistenziale coordinato che, garantendo continuità di cura, accompagni il paziente e i suoi familiari dalla fase dell’emergenza a quella della stabilizzazione, limitando al massimo la permanenza non necessaria in rianimazione. Il documento lascia tuttavia aperta la porta a nuove indagini e interventi riabilitativi quando, a domicilio o nelle strutture di accoglienza, venga osservata la comparsa di elementi di coscienza. Quando invece il paziente non mostra segni di recupero ci si preoccupa di favorirne il rientro a domicilio, mettendo a disposizione della famiglia aiuti e servizi. Le istituzioni sanitarie si impegnano anche a creare strutture di accoglienza sia temporanea, per periodi di sollievo, che permanente, quando la famiglia non sia più in grado reggere un simile carico. L’approvazione di questi provvedimenti, malgrado il diverso orientamento politico delle Regioni, costituisce una risposta di civiltà, capace di riaffermare la dignità di ogni essere umano e di prevenire tentazioni eutanasiche indotte da sensazioni di abbandono. È significativo che ciò sia potuto avvenire proprio mentre in Parlamento si sta discutendo delle Dat.