Carlo Casini
Buongiorno e un cordiale saluto a tutti. Questo intervento è stato condiviso con la mamma, Francesco, Donatella, Marco, Benedetta e Donato che sono presenti in sala; porto anche il loro saluto.
Raccontare in pochi minuti come il babbo ha vissuto in famiglia il suo essere impegnato nella vita pubblica e come noi abbiamo vissuto il suo impegno pubblico, non è facile. È stata una esperienza notevolmente intensa, ricca, articolata, molto lunga, durante la quale ci sono stati anche grandi cambiamenti storici, sociali e politici. Il nostro coinvolgimento familiare nella straordinaria avventura del babbo non era scontato. Ci siamo più volte interrogati su cosa lo ha reso possibile, favorito, accompagnato e sostenuto. Abbiamo individuato tre basilari fattori.
1. Il babbo ha vissuto il suo impegno pubblico come sposo, come padre e poi come nonno. Non ha mai messo in periferia la famiglia rispetto alla dimensione professionale, sociale, associativa e politica, ma ha saputo armonizzare la sponsalità e la paternità con un impegno pubblico sempre più incalzante, totalizzate e assorbente. Questa è già una prova della sua integrità umana e spirituale. Il suo impegno pubblico è stato parte integrante e cemento dell’unità familiare. Come non ricordare, per esempio, l’entusiasmo con cui abbiamo partecipato a tutte le campagne elettorali dal 1979 al 2014 (4 per la Camera dei Deputati e 7 per il Parlamento Europeo)? Come non ricordare i viaggi, un po’ ovunque, in cui lo accompagnavamo per raggiungere il luogo in cui doveva fare conferenze, partecipare a convegni, congressi, riunioni, dibattiti, incontri, feste di partito? O il tifo che facevamo quando partecipava a dibattiti televisivi con “avversari” politici? E che dire poi della grande famiglia del Movimento per la Vita in cui siamo cresciuti e che ha accompagnato la nostra infanzia, adolescenza e giovinezza? Non è possibile rammentare la quantità di eventi e iniziative che ci hanno visti insieme. Capivamo che ascoltarlo, leggere quello che scriveva, parlare con lui del senso del suo impegno era importante, era per noi occasione di crescita. Precisiamo che il babbo non ha mai imposto niente perché rispettava profondamente la libertà di ciascuno: semplicemente trascinava con l’esempio, contagiava con la forza e la serenità con cui affrontava la sua “missione”, era credibile perché coerente, testimoniava con i fatti le parole rendendole vere. Noi figli questo lo avvertivamo diventandone sempre più consapevoli. Una delle riprove di questo è l’archivio familiare che nei decenni la mamma e noi, di nostra iniziativa, senza che lui ce lo avesse chiesto, abbiamo costruito e che custodisce quasi tutti i suoi numerosissimi scritti (oltre 500 articoli solo su Avvenire), videocassette, fotografie.
2. La mamma ha sempre affiancato, sostenuto e incoraggiato il babbo condividendo, in una logica di comunione, tutto il suo operare in ogni momento e in ogni circostanza. È stata la sua prima fan aiutando anche noi figli a capire che quello che faceva il babbo riguardava anche noi, perché da quello che faceva e diceva potevamo imparare molto. Desiderava che noi partecipassimo il più possibile alla vita pubblica del babbo, soprattutto che ne comprendessimo il significato, la portata, l’importanza. Ovviamente non era sempre possibile andare con lui, e allora la mamma giustificava le assenze del babbo con la sua coraggiosa e generosa “missione” che anche noi, restando uniti, concorrevamo a realizzare. In questo clima di comunione è stato normale che ci sentissimo tutti un po’ coinvolti e partecipi.
3. Non si può trascurare un terzo, ma non ultimo, fattore che ci limitiamo appena ad accennare per una sorta di pudore, ma anche di timore per non riuscire a esprimerne la profondità: la fiducia nell’amorevole presenza di Dio nella nostra vita familiare.
Quali sono, dunque, tra i molti, i tratti principali dell’esempio di Carlo Casini nella vita pubblica che sono arrivati nella vita familiare?
Una grande attenzione verso le persone, specialmente se emarginate, svantaggiate, bisognose. Trattava il mendicante con lo stesso rispetto con cui trattava il personaggio importante, lo stagista appena arrivato come il collega esperto, la persona che lo avvicinava per strada come un rappresentante delle istituzioni. Da magistrato aiutava gli ex detenuti e le loro famiglie, andava a trovare in carcere le persone detenute, seguiva personalmente alcune persone in difficoltà. Per noi era normale che spesso, specialmente la domenica mattina, bussassero alla porta di casa ex detenuti per parlare con lui, chiedere consigli, o persone più o meno giovani, con vari disagi, che avevano trovato in lui un soccorso e un riferimento. Trovava il tempo per andare a trovare chi tra i suoi conoscenti era malato. Aveva a cuore anche i giovani che cadevano nella droga e in più occasioni si è speso per trovare soluzioni e dare conforto alle famiglie. Per lui non c’era vera giustizia senza misericordia. È entrato in politica per far contare coloro che non contano ed è stato coerentissimo sin da subito.
Ecco cosa scriveva nel primo depliant elettorale nel 1979: «Nonostante le molte inadeguatezze, mi sono sempre proposto di interpretare la mia professione come un incontro con l'uomo, da amare e da stimare nel momento stesso in cui si ricercano prove contro di lui o si afferma pubblicamente la sua colpevolezza. È un contrasto ad un tempo esaltante e lacerante. L'applicazione corretta e ferma della legge si deve accompagnare ad una attenzione per il singolo uomo. Ciò fa scoprire problemi più vasti, per risolvere i quali l'intervento del giudice non è più sufficiente. Si è sviluppato così un impegno sul terreno sociale che, volta a volta, mi ha costretto ad affrontare, sia pure in forme quanto mai semplici, i temi della famiglia, del carcere, della giustizia penale, della droga, della violenza, del terrorismo, dell'aborto... Specie quest'ultimo tema mi ha fatto toccare con mano, io credo, la disgregazione della cultura c.d. “laica” ed i pericoli conseguenti. Se tale cultura, che dovrebbe avere l'uomo per suo unico scopo e la ragione come unico strumento, ripudia la scienza per poter sopprimere l'uomo nel momento della sua esistenza in cui è più debole, allora vuol dire che non è più possibile costruire la pace, combattere lo sfruttamento, riportare i «poveri» a condizione di eguaglianza con gli altri, fondandosi soltanto su tale cultura. La realizzazione di questi scopi, infatti, suppone che l'uomo, ogni uomo, ma soprattutto il più debole, sia posto al centro.
Ed è qui che l'ispirazione cristiana, con la sua capacità di dimostrare invincibilmente il valore assoluto dell'uomo, si rivela inesauribile ed insostituibile forza di progresso, di animazione, di rifondazione». Da politico ha sempre scansato la logica “interessata” di curare solo il collegio elettorale e prestava attenzione anche a chi fuori collegio gli chiedeva aiuto, consiglio. Ha risposto di sì a tutti quelli che chiedevano di parlare con lui di questo o di quell'argomento ed ha lasciato la porta ed il telefono aperti in ogni ora a tutti. Accettava di buon grado anche di andare a parlare a una platea di poche persone. Era molto generoso con gli altri e pensava sempre a chi aveva di meno. Ha aiutato molte più persone di quelle che possiamo immaginare. Mai si lamentava o si lasciava andare a commenti negativi verso le persone, neanche quando da queste veniva attaccato. Aveva molto rispetto anche per l’avversario politico. Era benevolente anche nei confronti di chi lo denigrava. Per noi questo in alcuni momenti è stato sconcertante. Durante la malattia offriva i patimenti per gli altri, per la Chiesa.
È rimasto sempre se stesso, non si è mai montato la testa, mai si è dato delle arie. Anzi. Mai a noi figli ha, anche solo lontanamente, fatto balenare l’idea di essere “figli di”. Ha mantenuto uno stile di vita semplice ed essenziale. Viveva nella gratitudine. Non amava affatto il lusso, né ambiva ai primi posti; prediligeva la sobrietà ed era attratto dalla spiritualità francescana e da quella di Madre Teresa. Non indugiava su se stesso, manteneva uno spirito gioioso e buon umore anche in mezzo ai problemi cercando soluzioni positive.
Ci colpiva l’ardimento, il coraggio e la tenacia con i quali ha affrontato le sue difficili battaglie cercando il dialogo con tutti, senza curarsi della gratificazione personale, del prezzo da pagare in termini di carriera politica, delle difficoltà, delle derisioni, delle incomprensioni, dell’emarginazione, della solitudine in cui talvolta si è trovato; si è sempre tenuto distante dagli schematismi correntizi, mai si è piegato a logiche di potere e sempre si è tenuto lontanissimo dai favoritismi per catturare applausi e consenso. È stato veramente un uomo libero. Si è concesso davvero poco riposo.
Ci affascinava la sua idea di politica pensata e vissuta, in Italia come in Europa, non solo come servizio alla comunità, ma - sulla scia del suo maestro Giorgio La Pira - come servizio che il cristiano è chiamato a vivere con il compito della profezia, cioè della proposta e della progettazione, soprattutto per quanto riguarda i temi fondamentali della vita e della famiglia. Sappiamo quanto lui abbia strenuamente sostenuto la tesi della “centralità politica del diritto alla vita”. Era per lui, infatti, una sofferenza quando in nome dell’“arte della mediazione politica”, di una falsa concezione della laicità, della tenuta di alleanze o per il timore di essere considerati arretrati, taluni ritenevano che certi valori dovessero restare nel privato della coscienza e dunque di fatto estranei alla costruzione del bene comune. Il babbo riteneva che l’inerzia, il silenzio totale o parziale sui finalismi propri dell’umanesimo cristiano, cioè sugli obiettivi concreti che riguardano beni fondamentali delle persone, non potessero essere considerati la moneta con cui si comprano alleanze o posti di potere. Diceva che si tratta di obiettivi per conseguire i quali - seppure in una logica di gradualità, valutando il contesto e le circostanze contingenti - si deve essere disposti a pagare qualsiasi prezzo, anche rinunciando ad altri fini secondari o a particolari posizioni di prestigio.
Per lui la fede non era di ostacolo alla laicità dell’azione sociale e politica, ma un potenziamento nella misura in cui la laicità è intesa come promozione dell’uguale dignità umana ricorrendo alla ragione come comune strumento di lavoro. Tutto il suo impegno in politica è stato una contestazione nei fatti di un’idea di politica come luogo per conquistare un potere personale possibilmente sempre più esteso e una poltrona sempre più importante. Era convinto, sì, che la politica deve essere a servizio della gente, deve ascoltare e aiutare le persone, ma non per ricevere un compenso in termini di voto, bensì per rendere la gente protagonista e soggetto attivo della politica. Di qui una moltitudine di iniziative, in Italia e in Europa, come, per esempio, la promozione delle proposte di legge di iniziativa popolare – quella del 1977 e quella del 1995, – la petizione europea del 2008, l’iniziativa dei cittadini europei “Uno di noi” del 2013, i concorsi europei per studenti promossi sin dal 1986 e ancora oggi annualmente banditi.
È stato bello rileggere le sue prime riflessioni, rivolte ad un gruppo di amici storici, appena eletto al Parlamento italiano nel 1979: «Vorrei portare nel nuovo gravoso impegno la limpida speranza verso l’avvenire, la fiducia verso gli altri, la serenità, lo spirito di servizio delle mie prime esperienze giovanili di vita sociale. So che il carico di responsabilità sulle mie spalle è gravoso. – Iddio mi aiuti! – Mi aiuteranno, ne sono sicuro, coloro che mi hanno eletto e che in questo periodo mi hanno dimostrato tanta generosa, entusiastica amicizia. Un solo impegno intendo assumere: quello di servire lo Stato, la gente, specie quella più semplice e povera. Affrontiamo tempi difficili in cui il senso cristiano della vita, dell’uomo e della società sarà chiamato ad impegnarsi nel massimo grado. Le difficoltà gravi esigono il nostro impegno. Non solo il mio. Quello di tutti. Insieme; guardando insieme nella stessa direzione saremo forti, coraggiosi e gioiosi anche quando sentiremo la fatica. È – il mio – un invito a tutti perché ciascuno faccia suo il motto di Don Milani: “I Care”, che vuol dire “m’importa”. Anche la politica m’importa; ognuno faccia la sua parte affinché la politica torni ad essere uno strumento grande per costruire un mondo migliore fondato sui valori umani e cristiani. Diciamola con S. Paolo: “Hora est iam de somno surgere” “è giunto il momento di svegliarsi dal sonno”».
Coerente e sereno fino in fondo, non si è mai arreso, radicato come era nel motto paolino “spes contra spem”. Un giorno, parlando del più e del meno, disse che a suo avviso le virtù specifiche del politico dovevano essere l’umiltà, il servizio e la povertà. Non si riferiva a sé, era una considerazione generale fatta a voce alta. Ebbene, noi in lui le abbiamo viste all’opera plasmate dalla carità. Non vi è dubbio che il suo impegno professionale, sociale e politico era animato da una profonda spiritualità che attingeva saldamente alla forza del Vangelo. Anche di questo ha dato testimonianza e di questo siamo testimoni.
Non c’è tempo per andare oltre. Molti approfondimenti sono contenuti nei volumi esposti e molto altro verrà probabilmente alla luce. Intanto speriamo che sia pubblicata la raccolta dei suoi discorsi parlamentari e che sia pubblicata la raccolta preziosissima dei suoi articoli, già pubblicati nell’archivio familiare, su “Il Popolo” e “la Discussione”. Una volta il babbo disse che era per lui un dono la chiamata a dare il suo contributo per la costruzione della civiltà della verità e dell’amore. Ebbene, possiamo dire che per noi è stato un dono essergli stati accanto e un dono continuare a camminare in sua compagnia insieme a tanti amici.
Grazie per l’attenzione
Maria, Marina, Francesco, Donatella, Marco, Benedetta, Donato