«Con mio marito Narciso abbiamo compreso che lo stato vegetativo non va mai considerato come un’anticamera della morte. C’è sempre un barlume da tener vivo e da accompagnare: quella speranza per noi si è illuminata». Barbara Bettega racconta sottovoce, rispettosa di ogni situazione e sorvolando leggera su ogni polemica. Tiene ad amplificare la gioia dell’uscita dal coma profondo della sua dolcissima Jennifer, una vispa ragazzina di prima media: vi era piombata tre mesi fa, colpita da un arresto cardiaco nell’atrio della sua scuola a Canal San Bovo, in una delle valli più isolate del Trentino orientale.In quel grigio lunedì d’ottobre – anche l’elicottero aveva dovuto lottare contro la neve per trasportarla all’ospedale di Trento – la prima risonanza magnetica non lasciava molto spazio alla speranza. I medici avevano abbassato la temperatura corporea per limitare i danni cerebrali a causa di quei secondi senza ossigeno trascorsi dall’arresto al provvidenziale massaggio cardiaco praticato dalla generosa bidella Maria, mandata a chiamare di corsa proprio da Jonathan, 9 anni, il fratellino più piccolo.Qualche giorno dopo, in coma farmacologico, un primo tentativo di stubare Jessica non era riuscito: occhi chiusi, cielo buio anche per i genitori che facevano la spola – duecento chilometri ogni giorno dal Primiero a Trento – per starle vicini qualche minuto, e intuire (invano, fino ad allora) qualche miglioramento. Poi la decisione di trasferirla a Padova, alla rianimazione pediatrica, dove in dicembre le veniva applicato un defibrillatore. Un lungo Natale “appeso” alle strumentazioni del coma farmacologico, raccontato così dai genitori alle parrocchie e a tanti volontari della loro valle mobilitati anche nella preghiera: «In questo periodo per noi tragico, in cui più volte abbiamo rischiato di perdere Jennifer, la nostra vita quotidiana si è fermata e ci ha catapultati in un immenso, indescrivibile dolore nel vedere nostra figlia soffrire; impotenti ad alleviare quella sofferenza e inerti davanti ai medici che non possono darti garanzie sul futuro che aspetta lei e noi».Ma due mesi e mezzo dopo, ai primi di gennaio, la fiducia degli splendidi zii, dei nonni e di tanti volontari alle loro spalle, sembra dare forza alla battaglia di Jennifer: comincia piano a rispondere alle sollecitazioni, riapre gli occhi, riconoscere il fratellino, mamma Barbara e papà Narciso: «In quei primi momenti – raccontano gli infaticabili Bettega – per noi è stato come se la nostra bambina fosse nata una seconda volta. Per noi – aggiungono senza paura di abusare il termine, che sale alla bocca da una robusta fede montanara – questo rimarrà sempre un miracolo. Abbiamo sperimentato la forza della preghiera e della comunità».Da tre settimane la ragazza di undici anni si trova all’attenzione degli specialisti del centro di riabilitazione "La nostra Famiglia", a Conegliano Veneto, dove si sottopone a esami di valutazione in vista di un programma personalizzato di recupero. Poi, il fine settimana, può tornare a casa da Jonathan, che l’aspetta col sorriso.Non parla ancora, ha difficoltà motorie, si esprime con dadi letterati e muovendo su e giù le sue fragili dita. Quando davanti al fotografo del settimanale diocesano mostra la "v" di vittoria si riferisce ai «ben quattro etti di peso» messi su in pochi giorni. È una vittoria parziale, certo, perché il cammino resta in salita ma ai genitori trovano energia nel suo sorriso. Con la pedagogista Jennifer se la cava bene a fare i conteggi (la matematica è sempre stata il suo forte), con un’amica l’altro giorno ha richiamato alla memoria il “pin” del suo cellulare modificato la sera prima di quel 25 ottobre, sogna di tornare ai campeggi estivi col parroco don Costantino, anche se talvolta qualche lacrima di malinconia riga il suo dolcissimo viso: «Aiuto», ha anche scritto l’altro giorno per dire la sua consapevolezza.Cosa dire agli altri genitori? «Anche noi abbiamo preso forza da un’altra mamma che ha visto la figlia ventenne risvegliarsi prima di Jennifer. È importante continuare a sperare. Crederci, anche contro le previsioni incerte che i medici, per doverosa prudenza, ti comunicano. Abbiamo visto quanto è importante restare uniti come coppia. Abbiamo sentito quanto sia decisivo non chiudersi nella propria condizione, anche se disperata. Va accettato il conforto degli altri». Anche quello delle amichette di Jennifer: in novembre si preparavano con lei alla cresima. Tre di loro hanno deciso di aspettare ad accostarsi al sacramento per poterlo fare più avanti, «quando Jennifer sarà tornata fra noi». E Jennifer lo ha fatto davvero:è tornata.