martedì 8 marzo 2011
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«Non c’è un diritto al­l’autodetermina­zione nella Costi­tuzione che discenda, in partico­lare, dall’articolo 32, la norma che riguarda la tutela della salute». Ste­lio Mangiameli, docente di Dirit­to costituzionale all’Università di Teramo, non ha dubbi nel ritene­re infondate le critiche di costitu­zionalità che vengono mosse al di­segno di legge sulle direttive anti­cipate di trattamento che la Ca­mera ha iniziato ieri a esaminare. La pregiudiziale di costituziona­lità fa riferimento soprattutto al­l’articolo 32. È fondata?In realtà la Costituzione, preve­dendo le libertà, disciplina gli spa­zi in cui il soggetto si può deter­minare, ma che ci sia un diritto al­l’autodeterminazione sul fine vi­ta è del tutto discutibile. Il secon­do comma dell’articolo 32 non de­termina la libertà, né un diritto dell’individuo, ma fonda un limi­te al legislatore. L’articolo non può voler dire che c’è un diritto alla non cura. Ma c’è un altro aspetto importante. Quale? Il primo comma dell’articolo sta­bilisce che la salute è «fondamen­tale diritto dell’individuo», ma an­che «interesse della collettività». Solo in questo punto in tutta la Co­stituzione c’è questo riferimento: esiste quindi una proiezione col­lettiva permanente sul diritto alla salute. Altrimenti perché ci do­vrebbe essere l’obbligo di curare i malati? C’è l’interesse della collettività verso la salute di ogni indi­viduo e non ci può essere il dirit­to alla non salute. L’autodeterminazione non vale nel diritto alla salute? Il diritto costituzionale è alla tute­la della salute e non giunge sino ad ammettere la scelta della non cu­ra. Altrimenti, non solo si ignora il contenuto essenziale del diritto costituzionale, ma anche la proie­zione di carattere collettivo su questo diritto. E trasformare il li­mite a prevedere trattamenti ob­bligatori solo in base a una legge in un diritto all’autodetermina­zione è un errore di interpretazio­ne costituzionale, in quanto l’au­todeterminazione, come diritto a rifiutare le cure, non è compresa nell’articolo 32. Rifiutare le cure, ripeto, è una situazione di fatto, non un diritto sancito dalla Costi­tuzione. Allora quale limite è previsto al­l’azione del medico? Il fine dell’azione del medico, frut­to della relazione con il paziente, è il recupero dello stato di salute, all’interno della relazione di fidu­cia con il paziente. Quando se­condo le sue conoscenze, questo non è più possibile, non deve in­fliggere terapie che non abbiano l’obiettivo di recupero del benes­sere fisico e diventano abnormi. Deve cioè astenersi dall’accani­mento terapeutico e puntare ad altro, per esempio alle cure pal­liative. Ma la rinuncia ad alimen­tare e a idratare il paziente, di per sé, sarebbe un’agevolazione al­l’eutanasia.
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