«Non c’è un diritto all’autodeterminazione nella Costituzione che discenda, in particolare, dall’articolo 32, la norma che riguarda la tutela della salute».
Stelio Mangiameli, docente di Diritto costituzionale all’Università di Teramo, non ha dubbi nel ritenere infondate le critiche di costituzionalità che vengono mosse al disegno di legge sulle direttive anticipate di trattamento che la Camera ha iniziato ieri a esaminare.
La pregiudiziale di costituzionalità fa riferimento soprattutto all’articolo 32. È fondata?In realtà la Costituzione, prevedendo le libertà, disciplina gli spazi in cui il soggetto si può determinare, ma che ci sia un diritto all’autodeterminazione sul fine vita è del tutto discutibile. Il secondo comma dell’articolo 32 non determina la libertà, né un diritto dell’individuo, ma fonda un limite al legislatore. L’articolo non può voler dire che c’è un diritto alla non cura. Ma c’è un altro aspetto importante.
Quale? Il primo comma dell’articolo stabilisce che la salute è «fondamentale diritto dell’individuo», ma anche «interesse della collettività». Solo in questo punto in tutta la Costituzione c’è questo riferimento: esiste quindi una proiezione collettiva permanente sul diritto alla salute. Altrimenti perché ci dovrebbe essere l’obbligo di curare i malati? C’è l’interesse della collettività verso la salute di ogni individuo e non ci può essere il diritto alla non salute.
L’autodeterminazione non vale nel diritto alla salute? Il diritto costituzionale è alla tutela della salute e non giunge sino ad ammettere la scelta della non cura. Altrimenti, non solo si ignora il contenuto essenziale del diritto costituzionale, ma anche la proiezione di carattere collettivo su questo diritto. E trasformare il limite a prevedere trattamenti obbligatori solo in base a una legge in un diritto all’autodeterminazione è un errore di interpretazione costituzionale, in quanto l’autodeterminazione, come diritto a rifiutare le cure, non è compresa nell’articolo 32. Rifiutare le cure, ripeto, è una situazione di fatto, non un diritto sancito dalla Costituzione.
Allora quale limite è previsto all’azione del medico? Il fine dell’azione del medico, frutto della relazione con il paziente, è il recupero dello stato di salute, all’interno della relazione di fiducia con il paziente. Quando secondo le sue conoscenze, questo non è più possibile, non deve infliggere terapie che non abbiano l’obiettivo di recupero del benessere fisico e diventano abnormi. Deve cioè astenersi dall’accanimento terapeutico e puntare ad altro, per esempio alle cure palliative. Ma la rinuncia ad alimentare e a idratare il paziente, di per sé, sarebbe un’agevolazione all’eutanasia.