Volontari impegnati in un'attività con alcuni ospiti della Sacra Famiglia di Cesano Boscone
Prima dell’avvento della pandemia, nella sede della Sacra Famiglia a Cesano Boscone (Milano), l’inizio dell’estate era il tempo dei "Giorni del fuoco". «Erano un’esplosione di colori e musica, una settimana di animazione totale proposta dai frati della rettoria» racconta Guglielmo Fustella, responsabile del servizio di volontariato e servizio civile della Fondazione. In Sacra Famiglia arrivavano allora decine di adolescenti e giovanissimi, ospitati nella struttura in modo spartano, alternandosi ai ragazzi che durante l’anno venivano – soprattutto il sabato – dalle scuole grazie ai percorsi di alternanza scuola-lavoro: si stabiliva così un legame insondabile e misterioso, eppure pieno di vita, con anziani fragili e disabili gravissimi. Era anche un’esperienza di famiglia, visto che si intrecciava con i percorsi della cosiddetta Summer Green, offerti ai figli dei dipendenti e allargati ai loro amici.
Cartoline di un passato destinato a non tornare? No, semmai tracce di un patrimonio di valori e di amicizie seminate nel tempo «che ci dà fiducia e speranza, dopo lo choc iniziale di un anno e mezzo fa – spiega Fustella –. Vivere qui dentro è come stare in un paese dove più o meno tutti si conoscono e dove i più giovani sono la linfa che rinnova la comunità». Il popolo dei volontari, che raggiunge le 1.200 unità nei diversi centri del Nord Italia gestiti da Sacra Famiglia, è una tessera fondamentale nel puzzle creato ormai 125 anni fa grazie all’intuizione di monsignor Domenico Pogliani. «Non lasciamo soli tanti nostri poveri» disse allora il sacerdote milanese, partendo proprio dalle "periferie delle periferie".
I pilastri dell’accoglienza oggi sono quattro: ospiti, operatori, familiari e – appunto – volontari. «Dobbiamo prenderci cura l’uno dell’altro in modo reciproco. Alcuni di noi volontari sono anche dipendenti e il principio ispiratore è proprio quello delle origini. Quando monsignor Pogliani iniziò la sua opera, infatti, c’erano quattro donne che lo aiutarono nell’ospitalità dei primi malati. Ora la sfida è diventata quella di provvedere ancora di più ai bisogni dei soggetti vulnerabili, moltiplicando i percorsi di cura, riuscendo in qualche modo a personalizzarli e a non lasciare indietro nessuno».
Per ogni malato c’è dunque l’obiettivo di avere un volontario al suo fianco, per rendere ancora più umano il cammino di assistenza e presa in carico. Un supporto fondamentale per medici, psicologi, educatori chiamati a lavorare in squadra. Ma qual è il loro identikit? «I volontari sono persone passate dalla Sacra Famiglia perché hanno avuto familiari o parenti ricoverati qui, spesso persone del territorio, molte delle quali in pensione. Per ogni volontario c’è bisogno di un progetto personalizzato e specifico di formazione e preparazione» spiega Fustella. Incontri settimanali, gestiti da professionisti, perché all’umanità necessaria per accompagnare i più fragili vanno aggiunte competenza e conoscenza minima del quadro clinico che interessa chi si ha davanti.
Quel che nasce dopo, al di là delle fatiche ben rappresentate al tempo del lockdown più duro, è frutto della relazione che si crea tra chi assiste e chi è assistito. «I primi mesi del 2020 sono stati uno spartiacque totale rispetto alla fase precedente, con lo stop a qualsiasi attività. Poi, per fortuna, le videochiamate hanno permesso di riallacciare legami e rimettere in contatto le persone» dice il responsabile dei volontari. Il graduale ritorno alla normalità sta seguendo alcune tappe obbligate. «Pensi alla Messa della domenica: ci sono volontari che arrivano apposta per accompagnare gli ospiti in chiesa. È l’attesa vicendevole la cosa che stupisce di più: basta un’espressione del viso, un sorriso, uno sguardo di gioia per raccontare del rapporto che si è creato e delle aspettative che ci sono». Sentimenti semplici ma fondamentali quando si vive in condizioni di precarietà.
La cura del volontariato giovanile è l’altra faccia di questo impegno: 25 giovani verranno coinvolti nel servizio civile, previa vaccinazione. Si torna così ai "Giorni del fuoco", a quella passione educativa che ha contagiato per decenni le generazioni e che l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, ha sintetizzato nella felice espressione «siate gente di speranza», in occasione della presentazione delle iniziative per i 125 anni. È la speranza che contagia chi si occupa degli ultimi, chi valorizza il capitale umano, chi sa prendersi cura di chi cura. È il "farsi prossimo" che in Sacra Famiglia va avanti da oltre un secolo e promette ancora per lungo tempo di dare frutto.
La storia
Era il 1896 quando monsignor Domenico Pogliani fondava a Cesano Boscone la Sacra Famiglia, all'epoca un centro per malati nell'aperta campagna milanese. L'esigenza di provvedere ai molti poveri dell'epoca si manifestò nel sacerdote milanese a partire dalla constatazione che alla beneficenza non sempre si accompagnasse un criterio d'equità. Fu proprio il pensiero di non lasciare da soli tanti anziani abbandonati a spingere monsignor Pogliani a creare un ospizio, che aprì i battenti il 1° giugno 1896, inaugurato da un gruppetto di persone cieche, anziane e disabili che il prete ospitava da qualche mese in casa sua. Centoventicinque anni dopo, la Fondazione Sacra Famiglia è una organizzazione senza fine di lucro attiva nel settore socio-sanitario e assistenziale con 23 sedi in Lombardia, Piemonte e Liguria. Il cuore resta sempre Cesano Boscone, dove a dominare il cortile della struttura è proprio una statua di monsignor Domenico Pogliani, l'ideatore di tutto, per cui è in corso la causa di canonizzazione.