Ancor prima che scadesse il termine per depositare gli emendamenti – nel pomeriggio di giovedì 12 gennaio – la conferenza dei capigruppo della Camera ha già calendarizzato l’esame in aula del disegno di legge su «Consenso informato e dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari», relatrice Donata Lenzi (Pd). La data prevista per il dibattito nella plenaria di Montecitorio del testo che nel frattempo sarà stato discusso e approvato dalla Commissione Affari sociali è lunedì 30 gennaio: per mettere a punto un testo che, così com’è, presenta diversi punti critici restano dunque solo due settimane. Un tempo davvero ristretto per esaminare anche solo la parte più significativa delle 3.300 proposte di correzione al testo giunte entro il termine ultimo, su una materia come quella delle decisioni di fine vita assai delicata e complessa, nella quale sono coinvolte posizioni di coscienza, questioni etiche di assoluta rilevanza e gli effetti di possibili applicazioni improprie da scongiurare con grande accuratezza.
Non a caso sul testo, frutto dell’unificazione dei 16 progetti di ogni orientamento presentati in Commissione, si sono concentrate numerose critiche da parte dei parlamentari che nella precedente legislatura avevano invece sostenuto il disegno di legge Calabrò – approvato più volte dai due rami del Parlamento, ma mai in modo definitivo – che si concentrava sulla tutela dei pazienti in stato di non coscienza e sui meccanismi per evitare che fossero oggetto di procedure eutanasiche, come il distacco di sondini per la nutrizione. Il ddl che andrà in aula a fine gennaio, invece, abbraccia potenzialmente tutti i casi di trattamento sanitario a partire dal concetto – universalmente condiviso, e dettato dalla Costituzione – che va sempre rispettato il «consenso libero e informato della persona interessata», come si legge nel primo comma dell’articolo 1. E se i due commi successivi mettono in chiaro concetti pacifici («è promossa e realizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico» e «ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo e a lei comprensibile») già al settimo comma cominciano i dubbi: «Il medico – si legge infatti – è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente e in conseguenza di ciò è esente da responsabilità civile o penale», un’affermazione che fa pensare a casi nei quali possa venir chiesto al personale sanitario di avvicinare artificialmente la morte della persona in cura con azioni od omissioni.
Un secondo aspetto critico nel testo è il passaggio – articolo 3, primo comma – nel quale tra gli oggetti del «consenso o rifiuto rispetto a scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari» vengono incluse «le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali», in realtà nutrizione assistita che non fa parte delle terapie ma dei sostegni vitali (acqua e cibo). Terzo profilo che esige una messa a punto è nello stesso titolo dell’articolo 3, che traduce il già noto acronimo Dat in «disposizioni» e non più «dichiarazioni» anticipate di trattamento, come invece recita il titolo della legge. Una differenza terminologica di non poco conto, e dalle evidenti conseguenze, che si incarica di mettere in evidenza il terzo comma dove si legge che «il medico è tenuto al pieno rispetto delle Dat», che si possono disattendere solo «qualora sussistano motivate e documentabili possibilità non prevedibili all’atto della sottoscrizione» delle Dat che possano garantire «concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita». A rendere ancor più ingarbugliato questo punto il fatto che, allo stato, non sia prevista obiezione di coscienza per i medici che non vogliano cooperare a scelte con le quali si mette in gioco la vita del paziente. Infine – quarto nodo da sciogliere – l’articolo 5 (l’ultimo) di fatto "sana" i discutibilissimi registri dei testamenti biologici sinora adottati da alcune decine di Comuni in tutta Italia, spesso sotto la spinta di sostenitori di opzioni eutanasiche, alla sola condizione che a essi vengano applicate «le disposizioni di cui alla presente legge».
Da registrare il tentativo dell’articolo 4 di inserire una novità rispetto a quanto visto sinora, ovvero la «pianificazione condivisa delle cure tra il paziente e il medico» basata sull’adeguata informazione di paziente e familiari «a proposito del possibile evolversi della patologia in atto, di quanto il paziente può realisticamente attendersi in termini di qualità della vita, delle possibilità cliniche di intervenire, delle cure palliative». Ma anche su questo punto si addensano interrogativi, a cominciare dalla genericità di espressioni come «qualità della vita» che si prestano a infinite (e inquietanti) interpretazioni, per finire con la coabitazione tra Dat e Pianificazione condivisa – due percorsi potenzialmente confliggenti – le cui condizioni la legge non chiarisce. La strada è ancora lunga, c’è spazio (e si spera anche il tempo) per migliorare.