Sul "fine vita" continua la maratona alla Camera con l’obiettivo di arrivare entro la serata del 19 aprile, prima della chiusura dei lavori di Montecitorio per il fine settimana, al primo via libera del disegno di legge.
La norma, ancora piena di aspetti contraddittori e controversi - e non priva di rischi di derive verso il suicidio assistito - ha visto approvati il 19 aprile molti dei punti essenziali. Innanzitutto la definizione (che fa riferimento alle "disposizioni" del paziente e non a mere sue "dichiarazioni") ha retto al nuovo tentativo di tornare alla dicitura più blanda iniziale, e meno vincolante per il medico. In particolare, ieri, è passato il punto 1, che si occupa del "consenso informato".
Nell’ambito del quale era stato stabilito (al comma 5) con una nuova formulazione più esplicita, che anche l’alimentazione e l’idratazione artificiali sono da considerasi «trattamenti sanitari», come tali da poter inserire dal paziente nelle Dat (le disposizioni anticipate di trattamento) fra le cure che possono essere rifiutate. Tuttavia il medico potrà rifiutarsi a certe condizioni di "staccare la spina", in base alla riformulazione del comma 7 dell’articolo 1 che è stato approvato a larga maggioranza (281 sì, 120 no e 10 astenuti) dove accanto al principio, che viene ribadito, in base al quale «il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale», viene riformulato un ampliamento del ruolo del medico, chiamato ad attuare la disposizione del paziente una volta che venga a mancare, per quest’ultimo, la capacità di intendere e di volere.
Viene confermato che «il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali», ma ieri in aula è stato aggiunto, per maggiore chiarezza, che «a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali». Una correzione che soddisfa la componente di Ap, che rivendica la paternità della proposta. La relatrice Donata Lenzi (del Pd) esclude che possa parlarsi di obiezione di coscienza, ma M5S la pensa diversamente e parla di «obiezione di coscienza mascherata».
Altro tema, l’abbandono terapeutico. È stata bocciata - questa volta sull’asse Pd-M5S - la norma che lo vietava aggiungendo che si sarebbe sempre dovuto assicurare l’erogazione delle cure palliative. Tuttavia tutta la casistica della terapia del dolore, del «divieto di ostinazione irragionevole nelle cure» (ossia l’accanimento terapeutico) e la dignità nella fase finale della vita sono state poi inserite in una riformulazione proposta dal presidente della commissione Affari sociali Mario Marazziti (di Des-Cd) che è stata approvata dall’aula. Viene stabilito, che «il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico». Inoltre - prosegue la proposta Marazziti passata a Montecitorio - «a tal fine, è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l’erogazione delle cure palliative».
Nella stessa proposta approvata, c’è - come detto - il divieto di accanimento e la sedazione profonda: «Nel caso di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico - viene stabilito - deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati». E, «in presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente».
Altra questione di cui si era molto parlato, l’esclusione degli ospedali e cliniche cattoliche dall’obbligo di attuare comportamenti dal contenuto eutanasico. Il tema, sollevato nei giorni scorsi da un secco comunicato dell’Aris (l’associazione delle strutture di ispirazione religiosa) era stato inserito in un emendamento di Gianluigi Gigli, di Des-Cd. Nel quale veniva proposto che «le istituzioni sanitarie private possono chiedere alla autorità sanitarie regionali di essere esonerate da applicazioni non rispondenti alla carta dei valori su cui fondano i propri servizi». Ma l’emendamento, ancora una volta sull’asse Pd-M5S, è stato bocciato con 335 no e soli 82 sì.
È passato inoltre, senza modifiche, anche l’articolo 2 che contiene le norme su minori e incapaci, con il possibile intervento di un tutore, tanto criticato dalle strutture che si occupano della cura dei disabili gravi.
Oggi si torna in aula, la discussione che riprende con il cruciale articolo 3, relativo alle disposizioni anticipate di trattamento. Qui, fra gli aspetti parzialmente migliorativi, dovrebbe passare un correttivo al comma 5 che è stato già concordato nella maggioranza, in base al quale il medico potrà rifiutarsi di dare attuazione a Dat «palesemente incongrue» o «non corrispondenti alle condizioni cliniche attuali», o che non tengono conto di nuove terapie. Stasera, infine, dovrebbe arrivare il voto definitivo di Montecitorio sul testo.