La ribalta concessa a Beppino Englaro e a Mina Welby in prima serata sulla tv di Stato e il concomitante tentativo, dall’esito ancora incerto, di mandare in onda su emittenti locali lo spot di Exit International per la promozione dell’eutanasia, altro non sono che il risultato di una campagna culturale che parte da lontano. È il 1993 quando la Consulta di bioetica (filo-radicale), oggi presieduta da Maurizio Mori, pubblica un documento approvato dai soci con il quale si affermava la liceità morale di eutanasia e suicidio assistito. È ormai noto il ruolo di primo piano che la Consulta, tra i cui membri figura il neurologo che ha seguito Eluana sino all’ultimo, Carlo Alberto Defanti, ha giocato in tutta la vicenda Englaro. All’epoca dell’appello, però, Beppino non aveva ancora incontrato la Consulta, che aveva comunque già chiara la rotta. Partendo dalla «reciproca tolleranza delle diverse posizioni», l’appello del 1993 conteneva l’invito al riconoscimento per ciascuno della «facoltà di por fine ai propri giorni col suicidio o di chiedere di essere aiutato a morire ove si trovi in situazioni di incapacità e di insopportabile sofferenza e perdita di dignità». Il documento affrontava in particolare quelle situazioni in cui la vita, a detta dei firmatari, si riduceva a esperienza «insensata» e «priva di alcun valore», a una situazione «penosa» e «degradante». Pur limitandosi al piano etico della discussione, la Consulta non faceva segreto dell’intenzione di intervenire anche sul piano legislativo. Forti anche le pressioni in tema di testamento biologico: a tal proposito la Consulta rendeva disponibile sul proprio sito la Biocard, una sorta di dichiarazione anticipata di trattamento prestampata. Risale al 2000, cinque anni dopo il primo contatto con il padre di Eluana, l’appello alle istituzioni affinché si proceda alla sospensione «doverosa» dell’alimentazione e dell’idratazione. L’appello prosegue dicendo che in ballo non c’è l’eutanasia, ma la «lecita sospensione del trattamento». Ciò non impedisce alla Consulta di invocare una «modifica del codice penale al fine di permettere (...) l’assistenza al suicidio e l’eutanasia volontaria».Richieste che ci riportano alla stretta attualità e che costituiscono il
trait d’union con l’attivismo dell’Associazione radicale Luca Coscioni. Piergiorgio Welby, che ne è stato presidente, fu assistito durante il distacco del respiratore da Mario Riccio, anestesista, membro della Consulta ed esponente radicale. Nel 2006 la Coscioni promuove una raccolta di firme per una petizione al Parlamento dove si afferma l’urgenza «che l’eutanasia (...) sia regolamentata attraverso norme più civili e rispettose della libera e responsabile scelta individuale». A questo fa seguito il disegno di legge, datato ancora 2006, con primo firmatario il parlamentare radicale Marco Beltrandi e dal titolo «Norme sulla tutela della dignità della vita e disciplina della eutanasia». L’articolo 1 è molto esplicito: «Ogni persona in condizioni terminali o in caso di malattia gravemente invalidante, irreversibile e con prognosi infausta, ha diritto di porre termine alla propria esistenza mediante l’assistenza di un medico».Consulta di bioetica e Associazione Luca Coscioni sono affiancate nel loro incessante lavoro pro-eutanasia da molte altre sigle: si va da Exit Italia, che dal 1996 si batte affinché vengano modificati quegli articoli di legge che in Italia vietano l’eutanasia, a Libera Uscita, in lotta da sempre per la depenalizzazione dell’eutanasia, passando per la fondazione diretta da Umberto Veronesi, che al tema ha sempre dedicato ampio spazio. A queste massicce campagne politiche e culturali di lungo periodo hanno sempre fatto da sfondo una miriade di iniziative pubbliche. Dibattiti, convegni, pubblicazioni e interventi sui mezzi di comunicazione con un’unica matrice comune: l’idea che legalizzare eutanasia e suicidio assistito costituisca un inevitabile segno di progresso etico e culturale. Le apparizioni televisive in prima serata sono solo l’ultimo atto di una lunga marcia. In attesa della prossima fermata.