Si allarga il fronte delle Regioni che vogliono aspettare una norma nazionale uniforme prima di dare il via libera all’eterologa, accrescendo l’isolamento della Toscana che invece aveva mostrato disponibilità ad autorizzare subito una pratica priva di qualunque regolamentazione. Ieri si sono espressi il governatore del
Friuli-Venezia Giulia Debora Serracchiani («credo si possa aprire in Parlamento un confronto sereno e molto celere») e l’assessore alla Salute della
Sardegna Luigi Arru («la Regione è naturalmente favorevole affinché si definisca al più presto il quadro normativo in merito»). Alle pressioni di chi – cliniche, operatori del settore, mass media – è ansioso di aprire il libero mercato della procreazione in provetta con gameti estranei alla coppia risponde il Ministero della Salute che ribadisce la sua disponibilità ad «aprire un confronto per cercare vie praticabili di attuazione della sentenza della Corte Costituzionale che garantiscano la dovuta sicurezza sanitaria, considerando le prese di posizione di alcune Regioni e la possibilità che i centri privati comincino a praticare la fecondazione eterologa nell’attesa di una normativa nazionale». Una prospettiva sulla quale le stesse Regioni – Toscana a parte – si mostrano molto caute. Il Ministero sottolinea, se ancora non fosse chiaro, che «la fecondazione eterologa è oggi legale in Italia: cioè è lecita ma, tuttavia, non disciplinata». In altri termini: se è vero che «chi la praticasse non incorrerebbe in sanzioni», tuttavia «servono norme omogenee su tutto il territorio». Il tavolo ministeriale di confronto con specialisti previsto per settembre servirà proprio a studiare adeguate misure legislative su nodi decisivi come anonimato, selezione, tracciabilità e compenso dei donatori. La sentenza della Corte Costituzionale, nota dunque il Ministero a scanso di equivoci, «è auto-applicativa» ma «non è però disciplinata, non esistono cioè norme che ne regolino l’attuazione in tutti i suoi aspetti, a partire da quelli che riguardano la sicurezza sanitaria. Proprio per garantire tali aspetti è necessaria una normativa che abbia valenza nazionale e assicuri un’applicazione omogenea in tutte le regioni». Obiettivo per il quale non bastano certo delibere locali o linee guida: «Sulla fecondazione eterologa serve una normativa di rango primario» per «garantire questa tecnica con la sicurezza che anche l’Europa chiede». La Ue esige infatti «requisiti minimi comuni». Ma spetta allo Stato in via esclusiva il recepimento delle «normative europee che stabiliscono i test per la selezione del donatore, in base ai quali le Regioni potranno autorizzare i centri con criteri uniformi a livello nazionale ed europeo dal momento che è l’Europa a chiederci il rispetto di certi requisiti minimi comuni in questo ambito». In sintesi: se la Consulta ha dichiarato illegittimo il divieto di eterologa, per procedere in piena legalità e sicurezza occorre una norma nazionale. Ogni scorciatoia rischia di portare fuori strada. Un messaggio indispensabile per le coppie sterili che stanno pensando di ricorrere alla fecondazione eterologa e che messaggi fuorvianti stanno forse convincendo in queste ore che sia tutto già possibile. Le stesse associazioni dei centri clinici sottolineano che «Stato e Regioni» devono «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l’uguale godimento di diritti, libertà, servizi nel pubblico e nel privato».