Rilanciare adozione e affido nell’era del Covid potrebbe sembrare utopia. Come si fa ad aprire le porte di casa e a mettersi in rete con altre famiglie quando il clima da lockdown, il timore del contagio, la preoccupazione per quello che succederà pesano così tanto nelle nostre dinamiche familiari e sui nostri pensieri? Eppure mai come in questo momento c’è bisogno di accoglienza e di solidarietà familiare. La pandemia non ha moltiplicato solo i bisogni economici, ha anche dilatato le fragilità relazioni e le tensioni all’interno delle mura domestiche. Sono esperienze e stime, più che dati, che ancora mancano, raccolti sui territori dalle associazioni che si occupano di minori.
Ecco perché un progetto come quello presentato stasera dal Forum delle associazioni familiari nell’ambito di un dibattito on line con i presidenti di alcune delle realtà aderenti (Aibi, Azione per famiglie nuove, Associazione Fraternità, Progetto Famiglia, Famiglie per l’accoglienza, Comunità Papa Giovanni XXIII) rappresenta una risposta immediata e coraggiosa a un emergenza di cui non si parla mai abbastanza, quella delle famiglie e dei figli che non ce la fanno.
Si chiama “Progetto Confido”, andrà avanti fino all’ottobre 2021, ed è sostenuto con uno stanziamento di circa 250mila euro dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Obiettivo quello di coinvolgere circa duemila famiglie accoglienti in dieci regioni (Lazio, Lombardia, Puglia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Campania, Calabria, Sardegna, Sicilia).
«Si tratta di un progetto di innovazione sociale – ha spiegato il presidente del Forum, Gigi De Palo ¬- che ha l’obiettivo di promuovere e diffondere la conoscenza delle pratiche di adozione e affido su tutto il territorio italiano, allo scopo di agevolare il lavoro quotidiano delle case-famiglia e accogliere le esigenze dei minori in attesa di affido/adozione o vittime di fallimento adottivo». Una sfida grande, ha aggiunto la vicepresidente del Forum, Emma Ciccarelli, «per sensibilizzare le famiglie e dare risposte al loro desiderio di accogliere e di prendersi cura».
Si farà formazione, orientamento, formazione su tre fronti diversi: affido familiare, adozione e tutor per minori non accompagnati. Tutto quello insomma che l’amministrazione pubblica non ha mai fatto davvero e che le associazioni da sempre impegnate in questo settore non riuscivano più a fare per l’azzeramento dei fondi, complice anche il crollo delle adozioni internazionali. Marco Griffini (Aibi) ha ricordato che alla fine del 2020 saranno meno di 500 quelle concluse, con un dimezzamento rispetto allo scorso anno e la riduzione di quasi il 90% rispetto ai numeri di dieci anni fa.
Colpa solo del lockdown? No, si tratta di una tendenza in atto da tempo che ha motivazioni culturali e geopolitiche su vasta scala. Ma, per il nostro Paese, anche cause legate a leggi ormai inadeguate, con meccanismi che finiscono troppo spesso per reprimere più che favorire gli slanci solidali delle famiglie.
Promuovere affido e adozione, ha fatto notare Pietro Parlani (Azione per Famiglie nuove), non significa proporre un’alternativa alle famiglie d’origine che non ce la fanno. Anzi, spesso la soluzione migliore è quella di sostenere la fragilità di questi nuclei con un lavoro sussidiario. Che è quello che fa da sempre la Comunità Giovanni XXIII, come sottolineato il presidente Paolo Ramonda, che ha parlato di sostegno e di affiancamento. Qualche mese fa la comunità ha ottenuto che una famiglia rom a cui il Tribunale per i minorenni aveva già allontanato i figli, venisse riunita con un affido globale, genitori e figli insieme, affiancati da una famiglia della comunità di don Benzi.
L’importanza di fare rete e di sostenere lo sforzo delle famiglie accoglienti è stato messo in luce anche da Maurizio Moretti (Associazione Fraternità e da Luca Sommacal (Famiglie per l’accoglienza), mentre Marco Giordano (Progetto Famiglia) ha spiegato come sia fondamentale un’alfabetizzazione alla solidarietà per non disperdere sforzi generosi e sempre preziosi. Come appunto si propone di fare il “Progetto Confido”. Nella speranza che nel frattempo anche la politica faccia il suo dovere, avviando quelle riforme legislative che oggi frenano non poco tutto il sistema dell’accoglienza e dell’assistenza ai minori fuori famiglia.