Paolo Flores d’Arcais in un recente intervento online argomenta in difesa della scelta della coppia Fazio-Saviano di non concedere ai rappresentanti dei familiari di malati con grandi disabilità uno spazio per affermare le loro ragioni.L’argomento che usa per difendere la scelta di Fazio è il seguente: sono due diritti diversi. Mina Welby e Beppino Englaro avrebbero difeso il diritto alla libertà di scelta nei confronti della malattia. I familiari dei malati rivendicano un diritto di cura che nessuno nega in linea di principio e che ha bisogno di essere sostenuto con aiuti concreti. Di questo secondo diritto la trasmissione non trattava, quindi era fuori luogo la partecipazione di queste persone al dibattito sul diritto alla libertà di scelta. A questa argomentazione di Flores d’Arcais si può innanzitutto replicare che il diritto dei malati a una cura vera è un fatto così rilevante che con un minimo di sensibilità si poteva dare loro degna rappresentanza mediatica, dato che c’era una pressante richiesta. Evidentemente il duo di conduttori ha ritenuto poco rilevante tutelare questo diritto. O forse l’ha giudicato controproducente rispetto ai propri fini. Perciò Fazio, Saviano e i loro autori hanno usato il proprio potere mediatico come espressione di una fazione che è già nota per il suo impegno pro-eutanasia.Più importante è mostrare come l’argomentazione citata sia fallace nella sostanza. Esiste un rapporto tra i due diritti: quello di morire su propria decisione e quello della cura? Ovviamente si. Ecco dove sta il legame che non viene visto. Il principio di autodeterminazione, per non apparire immediatamente assassino, ha bisogno di un concetto alleato che si chiama "vita senza valore". Solo se una persona viene dichiarata in condizioni di "vita senza valore" si può procedere alla sua eliminazione, ammantando il gesto di nobiltà, di civiltà e di ogni altra retorica possibile. Questo perché anche l’arbitrio, con il seguito di violenza e di morte che ne segue, vuole apparire fattore di progresso e vera civiltà. Alle apparenze non rinuncia nessuno. Il concetto di vita senza valore ha un aspetto oggettivo e uno soggettivo. Soggettivamente tutti i giorni possiamo pensare di non valere nulla, ma poi ci passa. Dal punto di vista oggettivo la gran parte delle persone che si trovano in condizione di grande disabilità possono essere classificate come vite senza valore. Ecco il punto. Tutti gli amici che vivono amorevolmente assistiti dai familiari vengono dichiarati "oggetti" e marginalizzati. I loro familiari sono indeboliti nel rivendicare il diritto all’assistenza e qualcuno avrà il coraggio di chiamarli "talebani della vita". Il laico David Lamb da tempo ci dice che esiste la concreta possibilità che , in una società in cui venga considerata lecita l’uccisione su richiesta, i moribondi e i grandi disabili finiscano in una situazione in cui sono costretti a esprimere il «loro desiderio di morire», come l’adempimento di un ultimo desiderio di buona creanza verso i viventi sani.La connessione tra libera scelta e vita senza valore non è una trovata dialettica: è un dato incontrovertibile. Infatti anche il sostenitore più convinto del principio di autonomia non potrebbe chiedere la morte per una persona sana. Per chiedere la morte si deve necessariamente dire che essa ha perso il suo valore, riducendo la persona al rango di oggetto. Non vedere questo legame tra il diritto alla libertà di scelta e il diritto alla cura è dovuto nel caso migliore a cecità ideologica. Considerare poi la libertà senza alcun limite significa non aver compreso neppure il principio di autonomia che, nel pensiero originale dell’illuminismo, si presenta non come assoluto ma come fonte di buoni legami tra gli uomini, che sono sempre fini e mai mezzi.