Quindici anni fa, all’età di 20 anni, un incidente d’auto aveva ridotto Philippe (nome di fantasia) in stato vegetativo: nessuna consapevolezza di sé e del mondo esterno, nessun tipo di comunicazione, nessuna coscienza. In una parola: irreversibile. Ma ora un esperimento dirompente stravolge quelle che fino a oggi la neuroscienza riteneva certezze: dopo un mese di elettrostimolazioni al nervo vago, il ragazzo, ormai 35enne, ha ricominciato a comprendere ciò che gli avviene attorno, riconosce le persone, esegue semplici azioni che gli vengono richieste, palesa sentimenti e reazioni. Insomma, ha recuperato la coscienza. E dallo stato vegetativo "irreversibile" (aggettivo così smentito dai fatti) è passato a quello che gli scienziati chiamano stato di minima coscienza. Philippe è tornato.
La scoperta, resa nota dalla rivista Current Biology, è stata messa a segno da Angela Sirigu, neuroscienziata sarda "prestata" da 18 anni alla Francia, dov’è direttore di ricerca all’Istituto di Scienze cognitive "Marc Jeannerod" del Centro nazionale di ricerca scientifica (Cnrs) a Lione. Sono molti gli esperimenti che nell’ultimo decennio hanno permesso di scoprire una coscienza in pazienti ritenuti erroneamente in stato vegetativo (secondo la comunità scientifica, ben il 40% delle diagnosi di stato vegetativo erano errate), ma il caso di Philippe è tutt’altro: «L’uomo era davvero in stato vegetativo – spiega la scienziata –, la diagnosi era certa, da 15 anni non aveva alcun contatto con il mondo circostante e pareva effettivamente irreversibile».
Dottoressa Sirigu, è questo a fare del suo lavoro una scoperta eccezionale e rivoluzionaria?
Non spetta a me dirlo, naturalmente. Ma abbiamo scelto questo paziente proprio per la sua gravità: in 15 anni, dal giorno dell’incidente, non aveva mai dato alcun segno di cambiamento. Volevamo essere certi che, se in seguito alla stimolazione del nervo vago si fosse verificato qualche miglioramento, non potesse dipendere da un caso ma dal nostro trattamento.
Com’è nata l’idea, e in che cosa consiste la tecnica sperimentata sul paziente?
Da sempre mi occupo di lesioni cerebrali e studio gli aspetti legati ai disturbi della coscienza, tema drammaticamente attuale. Ci siamo posti questa domanda: in che modo restaurare la coscienza nei pazienti che l’hanno persa e che vivono in stato vegetativo? La nostra ipotesi, che dovevamo verificare, era che la stimolazione del nervo vago potesse rivelarsi efficace, poiché è connesso proprio alle zone cerebrali della coscienza. Con un piccolo intervento chirurgico, durato una ventina di minuti, abbiamo messo degli elettrodi intorno al nervo, a livello del collo, impiantando contemporaneamente sul petto, sotto pelle, uno stimolatore in grado di trasmettere gli impulsi agli elettrodi: quando diamo inizio alla stimolazione, grazie all’attività del nervo vago si raggiungono regioni del cervello preposte alla coscienza, come il talamo e la stessa corteccia cerebrale. Il trattamento è durato sei mesi per 24 ore al giorno, con questi ritmi: 30 secondi di stimolazione e 5 minuti di pausa.
E quando avete iniziato a vedere i primi cambiamenti?
Già dopo il primo mese, ma con il tempo abbiamo avuto evidenze sempre maggiori: chiudeva gli occhi e li riapriva su nostra richiesta, se gli parlavamo spostandoci nella stanza lui ci seguiva con lo sguardo, gli chiedevamo di girare la testa a destra o a sinistra e lo faceva, reagiva a fatti improvvisi, ad esempio sbarrava gli occhi se ci si avvicinava di colpo a lui. Poi siamo arrivati al punto che, mentre la terapista gli leggeva le pagine di un libro, dimostrava un’attenzione sostenuta, e lo stesso accadeva quando ascoltava le sue musiche preferite. Per due volte ha anche pianto.
Ha avuto reazioni all’ingresso di qualche parente o amico?
Soprattutto con la madre: quando entrava lei, non smetteva di seguirla con lo sguardo.
E cosa succedeva interrompendo la stimolazione? Il paziente regrediva?
Posso dire che tutto è rimasto stabile, ma non mi spingo oltre perché lo studio, iniziato due anni fa, è ancora in corso. Anzi, continuerà in modo molto più ampio, mettendo insieme le forze di vari centri di ricerca, per confermare ed estendere il potenziale terapeutico di questa tecnica.
Lei è una neuroscienziata e non una bioeticista, ma certamente un trattamento capace di ripristinare la coscienza in una persona che l’aveva persa ribalta ogni prospettiva e rimette in discussione la posizione di chi nega ogni speranza di recupero nei pazienti in stato vegetativo, addirittura arrivando in qualche caso a sentenziarne l’eutanasia in quanto "irreversibili"...
Da oggi la parola "irreversibile" non si potrà più dire. Sottolineo il fatto che il nostro paziente non parla e non si muove, ma solo perché ha danni alle zone del cervello che governano la parola e il movimento: senza quei danni "meccanici" oggi avrebbe la volontà di farlo. Capisce tutto.
Quali prospettive apre il vostro studio?
Intanto è stato molto importante scoprire che i cambiamenti osservati dopo la stimolazione del nervo vago riproducono esattamente ciò che accade in natura quando un paziente migliora autonomamente da stato vegetativo a stato di minima coscienza, il che suggerisce che abbiamo attivato un meccanismo fisiologico naturale. Inoltre l’esperimento dimostra che anche in pazienti gravissimi, finora ritenuti privi di speranza, dopo molti anni la plasticità del cervello permane (la Pet ha registrato la comparsa di nuove connessioni nervose) e che un recupero della coscienza è sempre possibile. Ora dovremo passare a sperimentare il trattamento su un numero più ampio di pazienti: crediamo che sia vitale soprattutto per le persone in stato di minima coscienza, per dare loro maggiori possibilità di comunicare con il mondo esterno.
L’umanità raggiunge i pianeti lontani, ma il cervello resta un universo ancora in buona parte sconosciuto...
Da neuroscienziata cognitiva, il mio obiettivo è anche comprendere i meccanismi neurali della coscienza. Questo studio è un grande passo avanti per scoprire l’affascinante capacità della nostra mente di produrre esperienze consce.