Dopo oltre tre anni di silenzi, polemiche, accuse, inefficienze, misteri e confusioni, si è chiusa ieri sera la complessa e drammatica vicenda della Commissione adozioni internazionali (Cai). Il plenum del Csm ha dato il via libera alla messa fuori ruolo di Laura Laera, per andare ad assumere la vicepresidenza della Cai (la presidenza spetta, secondo quanto stabilito dalla legge, allo stesso presidente del Consiglio o a un ministro da lui delegato, ma finora questa delega non è mai arrivata). Laura Laera, presidente del Tribunale dei minorenni di Firenze, è ora destinata - come si legge nel comunicato emanato dallo stesso Csm - «a ricoprire l'incarico di vice presidente della commissione per le adozioni internazionali, su nomina della Presidenza del Consiglio dei Ministri».
Superato lo scoglio più complesso, anche alla luce del parere negativo che era stato espresso nelle scorse settimane dal Consiglio giudiziario di Firenze - per motivi legati alle carenze di organico - alla richiesta di collocamento “fuori ruolo” arrivata dal Consiglio dei ministri, bisognerà ora attendere gli altri adempimenti formali.
La strada però dovrebbe risultare agevole e, soprattutto molto rapida. Il governo per primo non vede l’ora di lasciarsi alle spalle l’inspiegabile gestione della vicepresidente Silvia Della Monica, anche lei magistrato, il cui mandato triennale è giunto a scadenza lo scorso febbraio. Come è noto, e come abbiamo scritto più volte, l’attività della Cai nell’ultimo triennio si è di fatto azzerata, la commissione non si è mai riunita, non sono più stati pubblicati i report sulle adozioni, non sono stati più erogati alle famiglie adottive i contributi previsti dalla legge, è stata sospesa la linea telefonica dedicata alle famiglie. E tanto altro ancora. Comprese accuse pesantissime, penalmente rilevanti, rivolte ad alcuni enti che attendono però ancora di essere formalizzate.
Ora però le attenzioni delle famiglie adottive, delle associazioni e degli enti si concentrano su Laura Laera, 68 anni, moglie di Francesco Greco, procuratore capo di Milano. Dal 2012 è presidente del Tribunale per i minorenni di Firenze, dopo oltre 25 anni trascorsi al Tribunale per i minorenni di Milano. Vastissima esperienza specifica sulla giustizia minorile quindi, ma anche scelte e convinzioni che non lasciano del tutto tranquilli. Le sue aperture alla stepchild adoption – espresse per esempio nel corso dell’audizione parlamentare sull’applicazione della legge 184 - e alcune sentenze decise dal Tribunale da lei presieduto (il 9 marzo scorso riconosciute due adozioni a due coppie di uomini omosessuali) aprono non pochi interrogativi. Del resto le sue scelte risultano del tutti coerenti con quanto lei stessa aveva spiegato durante l’audizione parlamentare: «Capisco le posizioni di alcuni, che sono sulla difensiva rispetto alla famiglia legittima.
È del tutto comprensibile, perché è un modello che abbiamo introiettato. I modelli culturali richiedono diversi anni per evolversi e modificarsi. Anche noi giudici, che lavoriamo su questi temi da tanti anni, abbiamo le nostre difficoltà. Quello che si cerca di fare, o almeno che io cerco di fare, è di non avere un approccio ideologico. Il giudice deve lasciare da parte qualunque approccio ideologico sulla materia famiglia, deve affrontare la casistica che gli si presenta di volta in volta con un approccio laico, deve verificare nel caso concreto quale sia la normativa applicabile nel rispetto dell'interesse del minore. Credo che questo sia l'approccio».
Nessun processo preventivo, naturalmente. Ma, insieme all’augurio di buon lavoro e all’auspicio di un rilancio del nostro sistema di adozione internazionale a favore delle famiglie che intendono aprirsi con generosità ai bisogni dei bambini senza genitori, la speranza che quell’approccio “non ideologico” non risulti a senso unico. Rispettando cioè alcune convinzioni, sensibilità, principi, e ignorandone altri. I nostri, per esempio.