Su La Stampa di martedì 11, sono comparsi, affiancati, due piccoli saggi. Il primo del priore di Bose, Enzo Bianchi: «Dio non vuole mai la guerra». Il secondo, di Michael Novak, noto economista con interessi teologici, che invece affermava: «Dio ammette la guerra giusta». Al di là delle argomentazioni, generavano fastidio sia l'idea di una «guerra giusta», quando la guerra è il peggior male del mondo, sia l'asserita approvazione di Dio. Il Catechismo della Chiesa cattolica, cui Novak si appella, contiene (una sola volta) questa definizione, ma la scrive in carattere più piccolo, come in nota: «La dottrina detta della guerra giusta». Questa categoria, condannata dalla Pacem in Terris di Giovanni XXIII, non compare nei documenti del Concilio e il Catechismo preferisce quello, assai diverso, di «legittima difesa con la forza militare». Stridente, poi, la contrapposizione tra le due "posizioni" di Dio, quasi che Egli potesse essere stiracchiato a piacimento. Se, come dice a ragione fratel Enzo, «Dio non vuole mai la guerra», allo stesso Dio si potrà umanamente attribuire, forse e al massimo, la sopportazione per una guerra «legittima». È, infine, fastidioso quel servirsi di Dio come di una giustificazione per un'azione che, anche se legittima, sarebbe in sé cattiva. L'umanità ne ha abbastanza sia di quel «Gott mit uns» sul cinturone dei soldati tedeschi sia del «We trust in God» sui dollari Usa. Anche perché, a forza di chiamare in causa Dio per fare e finanziare una guerra, sarà difficile negare che quella sia una guerra di religione. Proprio quello che affermano i fondamentalisti islamici.
IL REGNO D'EUROPA
Un lettore di Repubblica (giovedì 13) scrive che «le carte dei diritti non si occupano di Dio, ma del regno di Cesare». Un altro vorrebbe nelle «radici» della Costituzione europea anche «albigesi, mormoni, catari, pelagiani, giansenisti, monofisisti» e via così. Corrado Augias risponde chiedendo: «Cambierebbe qualcosa» se ai «quattro principi cardine: libertà, democrazia, stato di diritto, diritti umani» si aggiungesse «il riferimento a una tradizione cristiana [...] piena di molte luci ma anche di parecchie ombre?» Sì, perché a quei valori si darebbe una legittimazione storica e filosofica. Da laicista Augias è preoccupato che possa ripetersi «quella quantità immensa di sofferenze, di crudeltà, di errori» attraverso cui l'Europa è passata «per riuscire a tenere distinto ciò che compete a Dio da ciò che compete a Cesare». Vale a dire esattamente quell'idea fondamentale della modernità che all'Europa è venuta dal cristianesimo.
IL CLONAZIONISTA
Come si è appena visto, c'è sempre qualcuno che attribuisce a Dio il proprio punto di vista. Su Libero (mercoledì 5) c'era la lettera di un prete di Monopoli, il quale «rifiuta un Dio padre onnipotente imperialista e invidioso delle capacità dei suoi figli», che proibisse la clonazione. Quando «la tecnologia sarà in grado di fornire un clone umano ottimale», scrive il don, «desidererei ipso facto la clonazione del Cristo». Il guaio sarebbe se fosse quel prete a essere clonato.
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