
Tempi duri per il principio di legalità, anche nel nostro Paese. Dopo l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, il quale, nell’ultima formulazione, si limitava a sanzionare la violazione di specifiche regole di condotta legislativamente imposte senza margini discrezionalità (con la conseguenza che oggi condotte anche gravemente antigiuridiche sono sottratte alla responsabilità penale), è ora la volta della responsabilità amministrativa per danno erariale.
A tamburo battente, sotto pretesto della scadenza di una norma per sua natura temporanea approvata nel pieno della pandemia al fine di incentivare decisioni pubbliche, la cosiddetta riforma della Corte dei conti appresta uno “scudo erariale” pressoché integrale. Al di là della magniloquenza delle parole usate nella proposta di legge, la sostanza si riassume in due punti: arginare la presenta invadenza del giudice contabile ed esimere da responsabilità amministrativa per danno erariale i titolari di pubbliche funzioni, salvo che le loro condotte non siano dolose.
Insomma, la Corte dei conti fa paura. Sia chiaro: non vivo su una nuvola, e sono consapevole che, in talune situazioni, un eccesso di zelo o di protagonismo di questa o quella procura regionale della Corte abbia potuto creare ingiustificate preoccupazioni ad amministratori e funzionari. Tuttavia, come sta avvenendo a proposito della magistratura ordinaria, è sempre poco saggio affrontare un inconveniente o una difficoltà creandone di maggiori o gettando, insieme all’acqua, anche il bambino. Anche perché, in questi casi, il bambino siamo noi, sono i cittadini: una Corte dei conti che resti autorevole presidio di legalità capace, proprio perché indipendente e tecnicamente dotata, di aiutare il decisore politico a raggiungere gli obiettivi che egli stesso si è prefissato, è utile a tutti, sia che si tratti di attuare il Pnrr (perché avere paura del controllo concomitante?), sia che si tratti di mettere alla luce gli effetti negativi dei c.d. caporalati o degli incentivi al gioco d’azzardo patologico.
Le sezioni riunite in sede consultiva della Corte hanno reso un parere sui contenuti della riforma, che sarebbe bene che il legislatore e la politica leggessero con attenzione: non è un documento di parte, è espressione di saggezza e di coraggio.
La normativa in itinere presenta profili di dubbia costituzionalità, sia perché viene a incidere sui principi di equilibrio di bilancio, di buon andamento e di imparzialità delle p.a. ai sensi dell’art. 97 Cost., oltre che sul dovere degli investiti di pubbliche funzioni di adempierle con disciplina e onore ai sensi dell’art. 54 Cost., sia perché, sotto svariati aspetti (dalla soppressione del controllo concomitante alla generalizzazione e non al semplice rafforzamento dei controlli preventivi usati come “scudo”), appare manifestamente irragionevole. La benevolenza dimostrata un anno fa dalla Corte costituzionale (sent. n. 132 del 2024) difficilmente potrà replicarsi nei confronti di norme come quelle introdotte in commissione alla Camera, volte non a trovare un punto di equilibrio tra deterrenza verso il malcostume e incentivazione dell’attività amministrativa, ma a cancellare in via generale l’elemento soggettivo della colpa grave. E non sarà sufficiente, per salvarle, il ricorso a una nozione che tutti dovremmo condividere, cioè una pubblica amministrazione di risultato, in grado di conseguire giusti obiettivi economico-sociali e pertanto titolare di adeguati poteri discrezionali: opporre efficienza a legalità, in ogni epoca, è il modo sicuro per non avere né l’una, né l’altra.
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