
Sono passati meno di due anni dalla fine della pandemia e Ana Montanez è di nuovo in trincea. Questa volta il nemico è il morbillo. «Fino a dieci anni fa avrei pensato che era impossibile — spiega — ma con il livello di vaccinazione odierno nella nostra contea, non sono affatto sorpresa». La contea è quella di Gaines, in Texas, dove solo l’82% dei bambini in età scolare è immunizzato contro il morbillo. In Lubbock, dove la 53enne pediatra lavora, un bambino è già morto, e Montanez ogni giorno fa gli straordinari per convincere i genitori dei suoi pazienti che quantità massicce di vitamine, pubblicizzate su internet come efficaci contro uno dei virus più contagiosi al mondo, non proteggeranno i loro figli. Il mese scorso una madre le ha detto che stava somministrando ai suoi due figli dosi decuplicate di vitamina A, basandosi sulle informazioni di un gruppo anti-vaccini guidato dieci anni fa da Robert F. Kennedy, che oggi è ministro alla Salute. «È stato un campanello d’allarme — dice Montanez —. Questa è una comunità unita e se una famiglia fa una cosa, gli altri la seguiranno. Anche se non riesco a convincerli a vaccinarsi, posso almeno educarli sui gravi rischi posti da una malattia che la maggior parte di loro non ha mai visto».
Montanez, invece, conosce il morbillo da vicino, e non solo come medico. Trent’anni fa il virus l’ha quasi uccisa. È una storia che racconta ai suoi pazienti con estrema cautela, per non essere accusata di fare terrorismo psicologico. «Un sabato sera di aprile stavo guardando un film con colui che allora era il mio fidanzato, e ora è mio marito, quando ho sentito che avevo un’eruzione cutanea sul collo. Poi ho iniziato a tossire, ma non avevo macchie bianche in bocca, che sono comuni con il morbillo, quindi non ci ho pensato». Ad attraversare la testa di Montanez, che stava studiando medicina, è stato invece il pensiero che non era stata vaccinata. «Mia mamma è un’infermiera ma, a metà degli anni Settanta, quando avrei dovuto fare l’iniezione contro il morbillo, il vaccino era relativamente nuovo e c’era ancora molta incertezza fra i genitori. Lo scandalo delle deformazioni provocate dal talidomide era ancora fresco — dice —. Allora sapevo di non essere coperta, ma non avrei mai pensato in un milione di anni di potermi ammalare; non c’era un’epidemia in corso».
La mattina dopo aveva mal di gola e mal di testa. Ma, dopo due ore nella sala d’attesa di medico, un’infermiera l’ha mandata a casa con uno spray nasale. «Ero in lacrime, sapevo che qualcosa non andava davvero. Sono tornata il giorno dopo e il medico ha detto che era un’infezione batterica e mi ha prescritto degli antibiotici». Montanez ha vomitato tutta la notte e aveva la gola tanto gonfia da non riuscire a parlare. Il fidanzato si è rivolto alla linea verde di un ospedale. «Penso di aver perso conoscenza più volte. Ma quando Steve ha detto che l’eruzione era solo sulla fronte e sul collo, il medico ha escluso il morbillo». Un’ora dopo, però, Montanez riusciva a malapena a muoversi, e il suo fidanzato ha chiamato un’ambulanza. «Quando è arrivata, sembrava che avessi ustioni di terzo grado. All’ospedale mi hanno diagnosticato una doppia polmonite. Braccia e gambe erano fredde. Sono arrivati di corsa i miei genitori. Temevano il peggio».
Montanez è rimasta in ospedale 10 giorni, quattro in terapia intensiva, dove nessuno ricordava un caso di morbillo così grave. «Non sono riuscita a parlare per due settimane, ho perso il senso del gusto per m esi e ho preso una sessione di pausa dalle lezioni. Più tardi, i miei capelli hanno iniziato a cadere». Oggi, come pediatra, è molto preoccupata per il messaggio che si sta diffondendo negli Stati Uniti. «Sappiamo come prevenire il morbillo. Abbiamo sei decenni di esperienza. Ma oggi il rischio di malattia e di morte a Lubbock è reale».
Anche se a volte vorrebbe scuoterli dalle loro convinzioni errate, Montanez sa che l’unica strategia che funziona è lasciare alle famiglie abbastanza spazio perché prendano le loro decisioni, ed essere disponibile per qualsiasi domanda, nella speranza che a un certo punto la chiamino e le dicano: «Possiamo venire a vaccinarci?»
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