giovedì 8 ottobre 2015
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​Ma non è come andare a teatro? All’inizio, quando il cinema era ancora una novità, era una domanda che gli spettatori si facevano spesso. Va bene la sorpresa delle immagini in movimento, si dicevano, però a noi interessa seguire una storia. E quella, volendo, la troviamo già sul palcoscenico, con gli attori in carne e ossa che recitano davanti a noi, Vero, ma solo fino a un certo punto. Immaginate di andare a teatro. Prendete posto, sperando di avere una buona visuale dello spettacolo, perché quel posto, quella visuale resteranno immutati per tutto il tempo. Al cinema non funziona così. Le immagini ci appaiono di volta in volta più vicine o più lontane, osservate dall’alto o dal basso, ad altezza d’uomo o in prospettiva, a seconda dell’inquadratura scelta dal regista. Primo piano, piano medio (o americano: è quando di una persona si vede un po’ più del mezzobusto), piano lungo, con il paesaggio sullo sfondo: le inquadrature sono i mattoncini essenziali del linguaggio cinematografico. Le regole grammaticali di base, potremmo dire, che però per comporsi tra di loro e tradursi in un discorso comprensibile hanno bisogno di quello che, nella lingua, è la sintassi. Sono gli elementi che avete imparato a conoscere dall’analisi logica: soggetto, verbo, complemento. Sembrerà strano, ma esistono anche nel cinema, solo che si chiamano in un altro modo. Il sistema mediante il quale le diverse inquadrature sono organizzate tra loro prende infatti il nome di montaggio ed è, secondo alcuni esperti, il motivo per cui il cinema è il cinema. I registi lo hanno capito molto presto, tant’è vero che uno dei maestri del montaggio è considerato ancora oggi Sergej Ejzenstein, un cineasta russo morto nel 1948. Tanto tempo fa, direte voi. Eppure i suoi film, tra cui il celeberrimo La corazzata Potëmkin, continuano a essere studiati come modelli insuperabili. Merito dell’abilità con cui Ejzenstein si serve del montaggio, accostando immagini riprese da diverse inquadrature e, a volte, talmente diverse l’una dall’altra da sembrare addirittura estranee tra loro: una nave da guerra, una scalinata, una folla in tumulto, soldati che avanzano, una carrozzina che scivola giù dai gradini. Si potrebbe fare anche a teatro? No, perché per ottenere un effetto simile lo spettatore dovrebbe correre da una parte all’altra della platea. Dire che il cinema è movimento, dunque, non significa unicamente registrare il fatto che le immagini si spostano sullo schermo. Anche il nostro sguardo si sposta con loro, raggiungendo una profondità che altrimenti sarebbe impossibile realizzare.
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