Vatican Media
L’uomo moderno vive uno strano paradosso. Proprio mentre, tra "podcast" e "chat" audio, cresce la qualità del suono condiviso e della comunicazione vocale, le persone stanno smarrendo la capacità di ascoltare. «Sia nella trama normale dei rapporti quotidiani, sia nei dibattiti sui più importanti argomenti del vivere civile». A osservarlo è il Papa nel Messaggio per la 56ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che sarà celebrata il prossimo 29 maggio. Una riflessione che scava nel profondo dell’animo umano, sottolineando che proprio essere ascoltati è il bisogno di più grande di ciascuno di noi. Ma non si tratta di un semplice sentire, tantomeno di origliare o spiare, bensì, come recita il titolo del messaggio, di “Ascoltare con l’orecchio del cuore”.
Una comunicazione che ha le sue radici nel rapporto con Dio tanto che l’incipit del primo comandamento della "Torah" è «"Shema’ Israel" - Ascolta, Israele» (Dt 6,4). L’ascolto allora «corrisponde allo stile umile di Dio. È quell’azione che permette a Dio di rivelarsi come Colui che, parlando, crea l’uomo a sua immagine, e ascoltando lo riconosce come proprio interlocutore. Dio ama l’uomo: per questo gli rivolge la Parola, per questo “tende l’orecchio” per ascoltarlo».
Ma una buona comunicazione per realizzarsi ha bisogno della capacità e, ancora di più, della volontà di relazionarsi. C’è infatti una sordità interiore, «peggiore di quella fisica. L’ascolto, infatti, non riguarda solo il senso dell’udito, ma tutta la persona» e ha come sua vera sede il cuore. Significa che «il primo ascolto da riscoprire quando si cerca una comunicazione vera è l’ascolto di sé, delle proprie esigenze più vere, quelle inscritte nell’intimo di ogni persona. E non si può che ripartire ascoltando ciò che ci rende unici nel creato: il desiderio di essere in relazione con gli altri e con l’Altro. Non siamo fatti per vivere come atomi, ma insieme».
Una condizione tanto più evidente e «preziosa in questo tempo ferito dalla lunga pandemia. Tanta sfiducia accumulata in precedenza verso l’“informazione ufficiale” – osserva il Papa – ha causato anche una “infodemia”, dentro la quale si fatica sempre più a rendere credibile e trasparente il mondo dell’informazione». Di contro, certo non contribuisce a migliorare la situazione la mancanza di attenzione all'altro evidente nella comunicazione pubblica, dove invece di ascoltarsi spesso ci si parla addosso, cercando più che la verità e il bene, il consenso.
L’antidoto, è «ascoltare in profondità, soprattutto il disagio sociale», così come aprire l’orecchio del cuore alle storie dei migranti è la cura contro i pregiudizi costruiti intorno a loro. «Dare un nome e una storia a ciascuno di loro», chiede il Papa. e poi «ognuno sarà libero di sostenere le politiche migratorie che riterrà più adeguate al proprio Paese. Ma avremo davanti agli occhi, in ogni caso, non dei numeri, non dei pericolosi invasori, ma volti e storie di persone concrete, sguardi, attese, sofferenze di uomini e donne da ascoltare». L’ascolto, come prima forma di comunicazione, come premessa per costruire relazioni autentiche, dunque.
Vale anche per la Chiesa, a maggior ragione durante il processo sinodale. Perché «nell’azione pastorale, l’opera più importante è “l’apostolato dell’orecchio”. Ascoltare, prima di parlare, come esorta l’apostolo Giacomo: «Ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare» (1,19). Dare gratuitamente un po’ del proprio tempo per ascoltare le persone è il primo gesto di carità».