È Gesù il “re della nostra vita”, diffondiamo “il suo regno”, dando testimonianza alla verità “che è l’amore”. Così il Papa all’Angelus.
La storia ci insegna che i regni fondati sul potere delle armi e sulla prevaricazione sono fragili e prima o poi crollano. Ma il regno di Dio è fondato sul suo amore e si radica nei cuori – il regno di Dio si radica nei cuori –, conferendo a chi lo accoglie pace, libertà e pienezza di vita. Tutti noi vogliamo pace, tutti noi vogliamo libertà e vogliamo pienezza. E come si fa? Lascia che l’amore di Dio, il regno di Dio, l’amore di Gesù si radichi nel tuo cuore e avrai pace, avrai libertà e avrai pienezza.
Francesco riflette sull’odierna solennità di Gesù Cristo Re dell’universo, posta al termine dell’anno liturgico, che ricorda come la vita del creato proceda verso la “meta finale” che è “la manifestazione definitiva di Cristo”: la conclusione della storia sarà - spiega - “il suo regno eterno”. Il Pontefice si riallaccia al brano evangelico di Giovanni che racconta la “situazione umiliante” di Gesù dopo l’arresto nel Getsemani: condotto a forza dinanzi alle autorità di Gerusalemme, viene presentato al procuratore romano “come uno che attenta al potere politico, a diventare il re dei giudei”. A Pilato Gesù spiega come il suo regno non sia “di questo mondo”, affermando: “Tu lo dici: io sono re”.
È evidente da tutta la sua vita che Gesù non ha ambizioni politiche. Dopo la moltiplicazione dei pani, la gente, entusiasta del miracolo, avrebbe voluto proclamarlo re, per rovesciare il potere romano e ristabilire il regno d’Israele. Ma per Gesù il regno è un’altra cosa, e non si realizza certo con la rivolta, la violenza e la forza delle armi.
Rispondendo ancora a Pilato, Gesù - osserva il Papa - gli fa notare come i suoi discepoli non abbiano combattuto per difenderlo.
Gesù vuole far capire che al di sopra del potere politico ce n’è un altro molto più grande, che non si consegue con mezzi umani. Lui è venuto sulla terra per esercitare questo potere, che è l’amore, rendendo testimonianza alla verità.
Si tratta, spiega Francesco, della “verità divina” che è il messaggio essenziale del Vangelo, “Dio è amore” - come riporta l’evangelista Giovanni - e vuole “stabilire nel mondo il suo regno di amore, di giustizia e di pace”. Questo è, dunque, “il regno di cui Gesù è il re”, che si estende “fino alla fine dei tempi”. È proprio Gesù, dice il Papa, a chiederci oggi di “lasciare che Lui diventi il nostro re”.
Un re che con la sua parola, il suo esempio e la sua vita immolata sulla croce ci ha salvato dalla morte, indica questo re la strada all’uomo smarrito, dà luce nuova alla nostra esistenza segnata dal dubbio, dalla paura e dalle prove di ogni giorno. Ma non dobbiamo dimenticare che il regno di Gesù non è di questo mondo. Egli potrà dare un senso nuovo alla nostra vita, a volte messa a dura prova anche dai nostri sbagli e dai nostri peccati, soltanto a condizione che noi non seguiamo le logiche del mondo e dei suoi “re”.
I saluti dopo l'Angelus
Nei saluti finali, Francesco ricorda tra gli altri i partecipanti al Congresso sulla fertilità, promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore nel 50° anniversario dell’Enciclica Humanae vitae di San Paolo VI. E, prima di accomiatarsi, definisce i presenti “coraggiosi” perché arrivati in Piazza sotto la pioggia.
Francesco ricorda che la storia insegna come i regni fondati sul potere delle armi e sulla prevaricazione siano fragili e prima o poi crollano. Il regno di Dio invece è fondato sull’amore e si radica
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