Una tregua rinnovabile di 72 ore: dopo l’appello di Stati Uniti, Gran Bretagna e Nazioni Unite, le parti in conflitto hanno accettato un cessate il fuoco provvisorio – entrerà in vigore questa sera, alle 23.59 locali –, mentre la guerra di Yemen sta vivendo l’ennesima escalation militare. Nei giorni scorsi, sia gli houthi del movimento Ansarullah, i miliziani sciiti zaiditi del nord alleati dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh, che la coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita avevano infatti alzato il livello dello scontro. Gli houthi avevano ripreso la guerriglia lungo il confine, colpendo anche in Arabia Saudita. Dopo il bombardamento saudita del 9 ottobre scorso contro una veglia funebre a Sanaa, capitale occupata (costato la vita a oltre 140 persone, tra cui molti esponenti politici e tribali della fazione sciita), la pressione diplomatica della comunità internazionale sulle parti in conflitto è però notevolmente cresciuta. Da un lato, statunitensi e britannici sono sempre più imbarazzati per l’appoggio politico e militare (in termini di intelligence e vendita d’armi) nei confronti dell’operazione guidata dall’Arabia Saudita, faticosamente giustificabile agli occhi delle loro opinioni pubbliche.Dall’altro, la recente carneficina di Sanaa, causata da 'un errore di informazione' secondo la versione saudita, è stata assai controproducente per Riad: la prova militare in Yemen ha ormai assunto, per i sauditi, i contorni di un insuccesso non solo operativo, ma anche strategico. La campagna yemenita ha peggiorato lo scenario politico locale, moltiplicato il coinvolgimento di attori e milizie, e sta complicando le relazioni internazionali del regno saudita. Oltre all’alto numero di vittime civili, i continui bombardamenti, militarmente inefficaci e finanziariamente costosi, hanno infatti avuto conseguenze sfavorevoli, sul fronte yemenita, anche per l’Arabia Saudita. Innanzitutto, l’alleanza strumentale fra Ansarullah e Saleh, già acerrimi nemici, si è saldata in chiave antisaudita. L’anarchia crescente ha poi regalato ulteriori margini di manovra alle milizie jihadiste nel sud, su tutte al-Qaeda nella Penisola Arabica. D’altronde, dopo i morti di Sanaa, la rappresaglia dei ribelli non si era fatta attendere: una serie di missili, intercettati dalla coalizione di Riad, era stata lanciata verso Mareb (sotto il controllo dei governativi), la città contesa di Taiz, nonché la città saudita di Taif, nel cuore del regno. L’esercito governativo e le milizie alleate preparano da mesi la battaglia per la riconquista della capitale Sanaa: né il governo riconosciuto, né gli insorti sono però in grado di vincere militarmente il conflitto. Yemen del nord (insorti sciiti) e Yemen del sud (governo riconosciuto, più sacche jihadiste e tribù autonome) sono, di fatto, già tornati una realtà.La guerra di Yemen, nata come crisi locale, è già divenuta un conflitto a partecipazione regionale: i sauditi sostengono il governo riconosciuto, mentre gli houthi sono appoggiati, anche militarmente, dall’Iran, seppur l’entità del sostegno iraniano non vada sovrastimata. Ma ora c’è di più. Dopo il bombardamento sulla capitale, gli houthi hanno lanciato missili, nel corso di quattro episodi differenti, in direzione di navi militari Usa nei pressi dello stretto del Bab-el-Mandeb, snodo strategico del commercio petrolifero mondiale. Fatti gravi, che sfidano apertamente gli Usa alleati dei sauditi e che seguono di alcuni giorni l’analogo attacco, con due missili, a una nave militare degli Emirati Arabi Uniti, colpita mentre transitava nelle medesime acque internazionali. Washington ha reagito bombardando tre siti radar a Ras Isa (a nord di Hodeida), lungo quella costa occidentale ancora sotto il controllo degli insorti, «per legittima difesa e per assicurare la libertà di navigazione nello stretto». La guerra più trascurata del Medio Oriente si sta dunque internazionalizzando e potrebbe risentire delle tensioni crescenti fra Stati Uniti e Russia, già esacerbate dal conflitto in Siria: presso il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Mosca non ha mai votato in modo ostile al fronte sciita. Ecco perché è ancora più importante non sciupare lo spiraglio della tregua apertosi ora.