Venerdì il Marocco torna alle urne per le elezioni politiche. I Fratelli musulmani, che hanno guidato l’esecutivo per cinque anni, potrebbero riconfermarsi primo partito del Paese e formare un nuovo governo di coalizione. Un appuntamento elettorale da osservare con attenzione: il Marocco, infatti, è l’unico Stato del Medio Oriente e del Nord Africa (a eccezione della Tunisia con Ennahda) in cui un partito che si richiama alla Fratellanza musulmana, ovvero il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Pjd), è divenuto forza di governo, adattandosi al contesto e alle peculiarità locali. Infatti, mentre l’esperienza dei Fratelli musulmani in Egitto naufragava tra errori palesi, manifestazioni di protesta e il golpe finale del generale al-Sisi, il Pjd marocchino (pur non affiliato formalmente all’organizzazione nata in Egitto nel 1928), imparava a 'coabitare' con la monarchia e il tradizionale sistema di potere di Rabat.
Di certo, il re Mohammed VI è il primo elemento di stabilità del Paese. Quando nel 2011 la rivolta araba si accese anche nel regno marocchino, il sovrano reagì tempestivamente e placò gli attivisti di piazza (fra cui non vi erano i Fratelli), convocando elezioni anticipate e riformando, seppur in modo timido, la Costituzione. Inoltre, gli aiuti finanziari ricevuti dall’Arabia Saudita e dalle monarchie del Golfo, tradizionali alleate del Marocco, contribuirono al potenziamento di welfare e sussidi. Le elezioni del 2011 vennero vinte proprio dal Pjd, percepito come forza di cambiamento.
Da allora, il partito dei Fratelli musulmani ha saputo però trasformarsi in una forza di governo: sì agli slogan classici dell’islam politico (come equità e giustizia sociale), ma molta attenzione a non oltrepassare le 'linee rosse' stabilite dalla monarchia, specie su sfera religiosa e politica estera. Le elezioni municipali dell’anno scorso hanno registrato la vittoria di sindaci dei Fratelli musulmani in tutte le grandi città, compresa la capitale. La campagna elettorale marocchina del 2016 non si è però giocata sul bilancio del governo del Pjd, guidato dal primo ministro Abdellilah Benkirane.
A livello di programmi esiste, di fatto, una sostanziale convergenza, soprattutto di politica economica, tra la Fratellanza e il suo principale sfidante, il partito Autenticità e Modernità (Pam), raggruppamento politico molto vicino alla monarchia, capace di raccogliere consensi in particolare nelle aree rurali del Paese. Ecco perché i due partiti hanno invece duellato su temi fortemente identitari, per mobilitare un’opinione pubblica di solito propensa all’astensione.
Il Pjd è così tornato a proporsi come il partito anti-sistema (nonostante abbia per cinque anni accettato il perimetro d’azione stabilito dal sovrano), scagliandosi contro clientele e corruzione, mentre il Pam ha attaccato gli avversari in quanto Fratelli musulmani, assimilandoli agli omologhi egiziani. Il sovrano rimane però l’ago politico della bilancia. In un discorso televisivo alla Nazione, Mohammed VI ha rivendicato, lo scorso 20 agosto, il proprio ruolo di capo della comunità dei credenti e dunque di guida religiosa: condannando il brutale assassinio di padre Hamel a Rouen, il sovrano ha incitato la diaspora marocchina a rigettare la violenza jihadista.
Dopo gli attentati di Casablanca nel 2003, costati la vita a 45 persone, il re ha riorganizzato la politica religiosa del regno, incentrandola sulla formazione degli imam (anche in Africa occidentale), secondo i caratteri dell’islam marocchino, molto legato al misticismo sufi e dottrinalmente distante, per esempio, dalla rigidità dell’islam saudita. Tuttavia, il Marocco sembra rientrare nel 'modello' di esportazione della violenza che si registra, per esempio, nelle monarchie del Golfo. Almeno 1.200 marocchini si sono uniti al Daesh, il sedicente Stato Islamico, come foreign fighter. Inoltre, più del 40% dei detenuti in Spagna per reati legati al califfo nero di Raqqa è di nazionalità marocchina, mentre l’énclave spagnola di Ceuta in Marocco è il primo territorio di Spagna per radicalizzazione.
Questo è il contesto in cui il Marocco va alle urne. Da un lato, confermando l’apertura dello spazio politico, nonché esecutivo, anche agli esponenti dell’islam politico, Mohammed VI ne depotenzia le ali più estreme; ma dall’altro, un governo lontano dagli equilibri di Palazzo, specie se guidato dai Fratelli musulmani, può diventare il facile 'parafulmine' di critiche e malcontento sociale, tenendo così al riparo la monarchia dagli umori della piazza. La possibile riconferma del Pjd alla guida del governo potrebbe dunque rappresentare una buona notizia per il re.