La svolta finalmente c’è stata. Dopo ventiquattro vertici dedicati alla crisi economica internazionale e conclusisi con un nulla di fatto la notte di venerdì ha ribaltato ogni schema e fugato lo scetticismo della vigilia, dando vita a un’intesa sulla ricapitalizzazione diretta delle banche e sul ruolo del fondo salva-Stati con la Bce come agente, insieme a un patto per la crescita e il lavoro in grado di mobilitare oltre 120 miliardi di euro.
Sono in molti in queste ore a tradurre l’esito di quella che è stata una vera e propria maratona notturna conclusasi attorno alle 4 del mattino come una ruggente vittoria dell’Italia di Mario Monti sulla ostinata rigidità della Germania di Angela Merkel, sottolineando come alla innegabile débâcle tedesca sul campo di calcio di Varsavia sia seguita quella ben più mortificante della cancelliera al tavolo delle trattative.C’è senz’altro del vero in tutto ciò: benché nel carniere italiano non vi siano tutti gli obbiettivi che Monti si era prefissato, certamente il risultato di agganciare il fondo salva-Stati al meccanismo anti-spread senza che ciò implichi per i Paesi "virtuosi" (e l’Italia che sta adempiendo ai compiti prefissati è da considerarsi tale) una qualsiasi cessione di sovranità e tanto meno l’umiliante procedura di commissariamento da parte della famigerata "trojka" – come sta accadendo in Grecia – è da reputarsi un successo. E considerata la grinta del guardiano di quella fortezza in cui si è aperta finalmente una breccia, un successo quasi rivoluzionario. Una svolta, appunto, nel profilo di un’Unione Europea che da almeno tre anni appariva strangolata come un Laocoonte dalle spire dei propri egoismi di bandiera, dai veti incrociati, dalla paura soprattutto di affrontare la crisi con l’unica arma vera di cui disponeva, quella della capacità di intendersi sulle grandi emergenze.
A questo notevole esito politico siamo giunti indubitabilmente grazie all’esperienza e alla tenacia del "tecnico" Mario Monti, al suo muoversi costantemente in un’ottica europea e mai soltanto nazionale (e di fazione) e alla sua capacità di fabbricare ad hoc un’alleanza con la Spagna del popolare Mariano Rajoy e un gioco di sponda con il presidente francese, il socialista François Hollande.
S u questa base ha preso forza risolutiva la minaccia – felpata, com’è nel suo stile, ma non meno perentoria – di porre insieme a Madrid il veto al pacchetto sulla crescita se la Merkel non avesse accolto il meccanismo anti-spread. La cancelliera ha capitolato all’alba.
Ed anche se nelle ore successive vi è stata da parte tedesca una guerricciola delle parole per minimizzare la portata degli accordi e sullo sfondo rimangono intatti problemi seri e irrisolti come gli eurobond e la Tobin Tax, è la stampa germanica in primis a fornire un verdetto eloquente: «La sconfitta della Merkel in una notte storica», ha titolato l’influente
Die Welt, mentre
Der Spiegel
impietosamente ha scritto: «L’Italia si è imposta in una lunga notte di trattative e la cancelliera si piega». Tuttavia non ha senso a nostro avviso ridurre il vertice di Bruxelles a una mera sfida tra Italia e Germania. La sfida semmai stava fra il bene comune e quello che Guicciardini chiamava il 'particulare', fra l’idea di una Casa Europa e quella di un club di nazioni ciascuna indifferente alla sorte altrui. E se pure è comprensibile che la Germania si senta in parte defraudata dalla scarsa diligenza dei Paesi meno virtuosi, è altrettanto vero che correre in loro soccorso, partecipare a una crescita comune, fornire soluzioni e non soltanto veti e divieti è parte viva di ciò che ci ostiniamo a chiamare Unione Europea. Ha ragione in questo senso il premier britannico Cameron, quando dice, a conclusione del vertice: «A Merkel si chiedevano difficili decisioni politiche. A volte è incredibilmente difficile prendere le decisioni giuste, ma ieri finalmente le abbiamo prese».
«Non ci sono vincitori e vinti – ha concluso il presidente Van Rompuy –, noi continueremo sempre ad applicare un approccio di responsabilità e solidarietà». Ma è un fatto: per un istante, che speriamo possa durare, quella di ieri è sembrata davvero un’altra Europa. Solo così non ci saranno vinti, ma solo vincitori.