Gentile direttore,
ho letto con amarezza l’articolo di Roberto Carnero sull’inchiesta riguardante le abilitazioni truccate. Amarezza, perché sulla base di un episodio certamente riprovevole vengono fatte generalizzazioni gravi. Si legge «Ci sarebbe da scommettere che se la magistratura si mettesse a indagare capillarmente anche negli altri settori disciplinari, verrebbero fuori cose molto simili a quelle che stanno emergendo in queste ore a Firenze». Si suggerisce che in tutti i settori disciplinari, in tutte le attività delle Università succeda la stessa cosa. Su quali basi? Non siamo in uno Stato di diritto? E ancora leggo: «Peccato però che, come sembra essere accaduto per Diritto tributario, in molti casi le commissioni decidano di abilitare soltanto quei candidati ai quali sanno già di voler assegnare in seguito una cattedra». Di nuovo: quali sono questi «molti casi»? Perché formulare accuse generiche? Ben vengano le indagini, ben vengano le inchieste giornalistiche serie, documentate, basate su nomi, fatti e riscontri. Si è a conoscenza di irregolarità? Le si denunci! Ma questo articolo suggerisce, invece, che vi sia un male diffuso, capillare, inafferrabile, che colpisce tutti i settori disciplinari. Un’accusa simile non dovrebbe essere lanciata a cuor leggero. «...un mio caro amico addentro alle cose universitarie è solito dire...», è così direttore che si fa giornalismo? Citando «un caro amico»? Caro direttore, io faccio parte di un gruppo di ricerca che ha partecipato alla scoperta delle onde gravitazionali, quella annunciata di nuovo il 27 settembre 2017, perché per la prima volta anche un rivelatore qui in Italia ha osservato un segnale. Crede che se l’Università italiana fosse tutta corrotta e se il reclutamento fosse marcio come anche il suo giornale scrive, avremmo raggiunto questi risultati? Le parole contano e sono pesanti come pietre.
Gentile professor Viceré, è vero, il mio commento era forte e deciso, e percepisco dalle sue parole e dai suoi toni la sincerità dell’amarezza di cui parla. Posso dirle che non ho inteso affatto gettare discredito sull’intero sistema universitario, bensì denunciare alcune storture persistenti e diffuse – lo confermo – nel sistema del reclutamento dei docenti. Tuttavia – mi scusi l’apparente pedanteria di questa puntualizzazione, che però credo necessaria – il mio articolo non era un pezzo di cronaca, in cui sarebbe stato doveroso circostanziare (come lei chiede) nomi, fatti ed eventuali fattispecie di reato, bensì un editoriale, un commento che sapevo avrebbe accompagnato – come è infatti stato – cronache rigorose e documentate. Io, partendo dal nuovo fatto di cronaca giudiziaria a sfondo universitario, ho svolto la mia riflessione attorno al fenomeno. Posso dirle che ho steso quel pezzo di getto, in preda a un’indignazione per quanto scoperto dalla Procura di Firenze altrettanto forte della sua per quanto ho scritto nel mio articolo. Insegno in università da vent’anni, prima nel Regno Unito e ora in Italia, e posso assicurarle che quanto ho scritto è ciò che regolarmente accade nei settori disciplinari che conosco da vicino. Anche a me (come a tanti amici e colleghi le cui esperienze conosco personalmente) è capitato, e più di una volta, di essere 'gentilmente' invitato a non partecipare a un concorso perché – come mi suggeriva il 'barone' di turno con l’aria di darmi un consiglio per il mio bene (per non rischiare di ricevere un giudizio negativo, per evitare a me stesso un’inutile perdita di tempo…) – 'tanto non è per te'. Non ho ragioni per dubitare che nella sua disciplina ciò non accada, ma le decine, anzi centinaia di lettere di ricercatori e docenti delusi che stanno piovendo nelle redazioni giornalistiche in questi giorni testimoniano – come scrivevo – che purtroppo il caso di Diritto tributario non può essere considerato un’eccezione. Stefano Pivato, che lei conoscerà bene perché fino al 2014 è stato rettore della sua stessa Università, quella di Urbino, ha dichiarato sabato in un’intervista al 'Giornale': «Accade che in cattedra finiscano i raccomandati. Sono le stesse leggi che consentono a rettori e a professori di comportarsi da monarchi assoluti». Anche lui compie indebite generalizzazioni? Che poi cose di questo tipo possano accadere in tutti i settori non vuol dire che accadano in tutti i casi. Le confesso infine una cosa: il «mio caro amico addentro alle cose universitarie» era un personaggio fittizio. Sono certo che ora avrà capito di chi si tratta. Con viva cordialità, Roberto Carnero Il sistema italiano è tutto corrotto e il reclutamento è tutto marcio? Certamente no, bisogna evitare le generalizzazioni. Tuttavia le centinaia di lettere di ricercatori e docenti delusi che stanno piovendo nelle redazioni giornalistiche testimoniano che i problemi segnalati non sono un’eccezione