Tra le innumerevoli esperienze realizzate nel corso dell’estate per ragazzi e giovani, ve n’è una singolare, e di particolare interesse. Non è per “i nostri”, ma per quelli che in parrocchia si chiamerebbero “gli altri”, quelli che non vanno a Messa, che dicono di non credere, che si dichiarano disorientati, in cerca di un senso e di un futuro per la loro vita. I partecipanti non sono stati convocati da nessuno, ma invitati con il passa parola a partecipare ad un’esperienza inconsueta: non un albergo confortevole, ma una vecchia baita riadattata per consentire un’ospitalità sobria ed essenziale; non un grande gruppo, ma dieci persone, quante ne può ospitare la casa; non proposte magistrali, ma testimonianze di persone che hanno esperienze o riflessioni utili a provocare; non risposte, ma interrogativi; non temi rassicuranti, ma capaci di dare voce alle inquietudini. Sono giovani che si sono ritrovati in questo luogo per scelta personale, spinti dal desiderio di affrontare insieme con altri coetanei e con qualche adulto le questioni grandi della loro esistenza e del loro futuro. Per tutto questo non sembra eccessivo il nome di profezia, di cui tanto si avverte oggi il bisogno.
Betania dei cercatori è il nome del progetto che è diventato la nuova denominazione delle casette austere nascoste nel bosco di castagni lungo la strada che in breve conduce al Monastero di Pra ‘d Mill. Betania, casa dell’amicizia, dell’intimità domestica, dei dialoghi informali. Qui tutti sono chiamati a essere un po’ Marta e un po’ Maria: Marta al mattino nei piccoli lavori per rendere più funzionale la casa o per cucinare per tutti; il pomeriggio, Maria che ascolta: la voce di qualche testimone; quella della propria interiorità, dei propri interrogativi, dei propri desideri; la natura con la sua bellezza imponente e misteriosa; il silenzio, in cui Dio parla.
Elogio della fuga è il tema che ha animato le giornate dei cercatori: la fuga che è generata dalla paura e quella che è frutto dell’audacia che spinge a osare i propri sogni, a mettere alla prova se stessi e che attrae verso valori e ideali da scoprire: la fraternità, la solidarietà, ciò che dà dignità umana... e per incontrare lì, forse, gli indizi del mistero e i segni della presenza di Dio. Essere cercatori è anche questo. Betania non ci sono educatori, ma Laura ed Emanuele, una coppia di adulti con i propri figli quasi adolescenti; nella forza della loro umanità e nella sobrietà del loro stile essi sono quei punti di riferimento di cui i giovani sono in cerca. E poi ci sono i monaci della comunità, che vanno e vengono, con la discrezione degli ospiti e al tempo stesso con una prossimità amica e partecipe.
Lavoro e riflessione; attività manuale e dialoghi, solitudine e fraternità, silenzio e parole... È possibile riconoscere qui le strutture di quella cultura monastica che ha rigenerato società in declino e che anche oggi, in questa indecifrabile epoca di passaggio per la società e per la Chiesa, può mostrare la forza della sua profezia. Betania dei cercatori è stata ispirata da Laura ed Emanuele con padre Emanuele, priore del Monastero di Pra ‘d Mill, che ha contribuito a generarla, e poi l’ha semplicemente sostenuta con la propria testimonianza: la preghiera cui ciascun giovane ha potuto partecipare liberamente e l’incontro con l’intensa umanità che l’esperienza monastica matura nelle persone.
Questa la narrazione dell’esperienza, sul cui significato e sul cui valore è il caso di fare qualche considerazione. Chi conosce il mondo giovanile sa che i giovani si sentono molto soli. Quelli che hanno abbandonato la comunità cristiana poi non hanno nessun luogo “laico” in cui portare le loro domande, luoghi in cui le inquietudini e gli interrogativi non riguardino esplicitamente la fede, ma la vita, il suo senso, i progetti che le danno valore. Temi non meno impegnativi di quelli che toccano la vita religiosa. Vi è una nuova spiritualità, dentro l’umano, che oggi chiede di trovare forma, di potersi esprimere; ed è una spiritualità dai caratteri universalistici, in cui è possibile riconoscere che veramente “dello Spirito di Dio è piena la terra”. Betania dei cercatori è l’esempio - e si spera anche l’inizio - dell’offerta di una possibilità che mentre risponde alle esigenze dei giovani più pensosi e in ricerca, fa scoprire a poco a poco che il dialogo con loro contribuisce a rinnovare la visione e la spiritualità di chi è sempre rimasto ed ha nella comunità una funzione di guida. Si sperimenta che vi è una gratuità della dedizione e della missione che non si propone di ricondurre i giovani dentro la sfera religiosa, ma semplicemente di offrire loro un contesto in cui lo Spirito possa fare a modo suo la sua parte. È un guadagno per la Chiesa tutta.
Nell’esperienza di Betania si vede poi delinearsi nel concreto un modello formativo nuovo: un modo adulto di fare formazione, che supera il tradizionale carattere trasmissivo in uso nella comunità cristiana per una formazione che suscita energie interiori che dall’interno, dalla profondità della coscienza, danno forma alla persona. Non è un caso che tutto questo sia generato da un’esperienza monastica. L’essenzialità di cui vive e la sua abitudine alla marginalità le danno la libertà di tentare il nuovo senza tradire le radici.