Caro direttore, la stagione di riforma delle istituzioni che stiamo vivendo (al di là del Sì e del No alle proposte in campo dopo il voto del Parlamento) sconta il limite di non fare i conti con il cuore del problema democratico: la rappresentanza e la legittimazione.Non ci sono sistemi elettorali, leadership o congetture giuridiche – elementi pur importanti – che, alla lunga, possano esimerci dal confronto con questo problema e con i suoi due profili. Il primo è il collante che può tenere assieme persone e corpi sociali e, quindi, identificare il profilo di una domanda politica collettiva ispirata al bene comune. Il secondo riguarda la crisi degli strumenti tradizionali dell’offerta politica, i partiti così come siamo stati abituati a conoscerli. Eludere queste due dimensioni può farci correre il rischio di una democrazia magari efficiente, ma sempre meno 'abitata' – e non solo meno utilizzata nell’esercizio del voto – dai cittadini. Sarà oggi piuttosto fuori moda dirlo, ma la politica senza cultura ha le armi spuntate. È solo la cultura, nella sua accezione più ampia e in simbiosi con l’etica, che può ridare un po’ di ordine e di 'senso' alla filiera delle aspettative – elevate a diritti individuali esigibili a prescindere – che produce, oggi, una domanda politica ridotta a teoria impazzita di coriandoli svolazzanti nel vento. Quando papa Francesco parla della necessità di un Nuovo Umanesimo credo ci esorti proprio a questo cammino morale, civile e culturale, che deve riempire di significati nuovi parole come sviluppo, diritti, equità, sovranità, cittadinanza, sostenibilità etica, sociale e ambientale. Non pare che sia questo respiro a guidare la discussione politica di questi mesi. Diversamente, ci accorgeremmo che siamo tutti dentro una prospettiva rovesciata. Stiamo mettendo a ferro e a fuoco il Paese pro o contro una Riforma Costituzionale che non rivoluziona il sistema, ma cerca di migliorarne alcuni aspetti di funzionamento (si può avere fiducia oppure dubitare sulla sua efficacia, ovviamente), ma non riflettiamo affatto sulle questioni della rappresentanza, vale a dire sul 'cuore' della democrazia e ancora meno sulla forma dei partiti o delle nuove infrastrutture dell’offerta politica, sulla loro natura, identità e bagaglio ideale. Questa è una delle più evidenti manifestazioni della debolezza di analisi e di pensiero di noi politici e – aggiungo con tutto il rispetto – anche del mondo intellettuale e sociale. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha invitato apertamente gli italiani a vivere il referendum del 4 dicembre 2016 e il periodo successivo «con reciproco rispetto». Ha fatto molto bene e lo ringraziamo. Penso che non abbia posto solo una questione di 'bon ton'. Io – che avendo votato in Parlamento la Riforma, pur con molte perplessità, sono coerentemente per il Sì – interpreto questo richiamo come necessità di assumere anche come mie le ragioni pertinenti (non quelle strumentali o pregiudiziali) di chi sceglie il No. Non è, appunto, una questione solo di tono, ma la consapevolezza che il prossimo referendum confermativo, pur importante, è solo un passaggio sulla strada della riforma della nostra democrazia. Resta aperta in ogni caso la vera questione democratica alla quale prima accennavo, a partire dalla crisi di rappresentanza. Termine col quale non si intende semplicemente la garanzia di presenza nel futuro Parlamento di una pluralità di nomenclature senza voti, ma l’articolazione plurale di una domanda politica dei cittadini e dei corpi sociali che va ricostruita e interpretata con spirito nuovo. Cosa invero assai più impegnativa, da tenere presente anche nella discussione sull’annunciata e auspicabile revisione del sistema elettorale che oggi è regolato dalla legge chiamata Italicum.
*presidente di Democrazia Solidale