La visita di papa Francesco in Campidoglio si colloca nello scenario complesso e talvolta difficile della Roma degli ultimi anni. La città ha conosciuto tanti cambiamenti: lo svuotamento della popolazione del centro storico (che è anche perdita di riferimenti culturali, spirituali e civili per l’intera città), la crisi del ceto medio che la caratterizzava, la crescita della solitudine e della povertà nelle periferie... I poveri sono aumentati, tanto che nell’inverno passato sono purtroppo morte tredici persone senza fissa dimora. Un fatto scandaloso, troppo dimenticato. Roma è in affanno. Lo è la sua amministrazione. C’è però un problema profondo: la città sta perdendo l’anima.
Del resto è un fenomeno che investe tante città, coinvolte dalla globalizzazione, che non si sono ripensate e ristrutturate nel mondo globale. La visita di Francesco non si può misurare in termini di consenso o no all’amministrazione capitolina. È invece un incontro con Roma: quasi il dono di un 'supplemento d’anima' a una città troppo incattivita e imbruttita, nonostante il meraviglioso patrimonio artistico. La capitale rischia il ripiegamento.
E in un discorso molto impegnato, il Papa si è interrogato sulla funzione di Roma. Ha ricordato come la capitale si è costruita nei secoli attraverso l’integrazione di genti diverse. Anche oggi è la città più italiana e meno 'locale', formatasi con l’afflusso d’italiani d’ogni regione dopo la proclamazione della capitale nel 1870, poi con flussi costanti e oggi con tanti immigrati non italiani, che abitano soprattutto le periferie. Francesco ha parlato di Roma come «maestra di accoglienza»: «Roma, città ospitale, è chiamata – ha detto – (...) ad adoperare le sue energie per accogliere e integrare, per trasformare problemi e tensioni in opportunità d’incontro e di crescita». Roma riuscirà a compiere questa missione, se sarà comunità di destino dei suoi abitanti.
Esiste infatti il problema di una 'società a pezzi', che la politica non ricompone, mentre spesso si sviluppa un dolente individualismo. L’eccellenza e il bene si rifugiano nelle nicchie. Non mancano energie positive – il Papa vi ha accennato –, anzi sono molte, ma difetta una visione di Roma. Il grande studioso tedesco Theodor Mommsen, preoccupato dell’assenza di prospettive della classe dirigente liberale, chiedeva nel 1871 a Quintino Sella: «Ma che cosa intendete fare a Roma?». E spiegava: «A Roma non si sta senza avere dei propositi cosmopoliti ». Roma sarà davvero comunità di destino, quando recupererà il senso di una missione universale, quando si nutriranno «propositi cosmopoliti».
L’ha detto chiaro, il Papa: «Roma possiede una vocazione universale, portatrice di una missione e di un ideale adatto a valicare i monti e i mari...». Ma non vive solo per se stessa. Altrimenti appassisce. L’universalità di Roma è liberazione dal provincialismo, che cresce anche nel vittimismo – che ha i suoi motivi – nei confronti di una città difficile da vivere per il traffico, le strade, la scarsità delle strutture. Roma ha una funzione universale come punto d’incontro tra l’Europa del Nord e il Mediterraneo, tra culture e genti diverse. Ne ha bisogno la geopolitica di un mondo troppo segnato dai nazionalismi e dai muri. Universalità vuol dire anche superare una vita autocentrata, l’egoismo fatto costume sociale, accogliendo i poveri e gli stranieri.
Ne ha bisogno la vita della città. Un’universalità geografica e sociale si fondono insieme. I «propositi cosmopoliti» hanno poco nutrito la cultura corrente della capitale e la politica. Eppure non si è esaurita la speranza di dare un’anima alla città. Il Papa ha ricordato che Roma ha tante energie umane e spirituali. La Chiesa, con il suo vissuto di solidarietà quotidiana, di preghiera e d’internazionalità, rappresenta una risorsa decisiva. Non l’unica: infatti Francesco è stato attento agli altri protagonisti della vita romana, perché Roma sia luogo della «cultura dell’incontro », anzi una capitale dell’incontro, nel cuore del Mediterraneo, tra il Nord e il Sud del mondo, tra Oriente e Occidente. Non è un caso che il Papa, nel discorso, abbia ricordato il «Convegno sui mali di Roma » del 1974, voluto dall’allora Vicario, cardinal Poletti. Anche il nome di quell’evento, che dispiacque alla Dc romana e a una parte del mondo ecclesiastico, è stato per quarant’anni un tabù: mai ricordato! Eppure fu l’atto costitutivo della rinnovata Chiesa diocesana di Roma, riunitasi per la prima volta nella cattedrale del Papa, mentre si proponeva una corretta visione ecclesiologica della lettura dei 'segni dei tempi' nella città.
Da lì sgorga la Chiesa del Concilio a Roma. Papa Francesco, con questa citazione e con questa visita, riprende quel filo ininterrotto di un rapporto appassionato con i «mali» di Roma, raccogliendo tante energie, alla luce di una visione della città. Roma è la città dal tessuto umano lacerato. I cristiani e le donne e gli uomini di buona volontà sono chiamati a ripararlo nel quotidiano. Si chiedeva il cardinal Poletti, alla vigilia del convegno sui mali di Roma: «Ha la Chiesa qualcosa da dire alla società di oggi? ». E rispondeva: «Ha da dire che il mondo attuale è inaccettabile, e che l’uomo ha la vocazione a trasformarlo...». Papa Francesco indica la strada a tutti: «Non si temano la bontà e la carità! Esse sono creative e generano una società pacifica, capace di moltiplicare le forze, di affrontare i problemi con serietà e meno ansia...».