Un gran vuoto verde
sabato 1 settembre 2018

Il rischio che corre oggi chi ha un minimo di sensibilità ecologica e ha a cuore le sorti del pianeta insieme a quelle del genere umano è di cedere alla rassegnazione: pensare che la causa ambientale sia persa in partenza e che l’incapacità di attuare riforme radicali nel modello di sviluppo dovuta all’avidità degli uomini abbia già scritto il destino della Terra. Le cronache del clima forniscono buoni motivi per alimentare l’angoscia. Senza andare lontano, basterebbe ricordare il caldo record registrato nel Nord Europa quest’estate, la siccità e gli eventi atmosferici estremi che si ripetono con regolarità impressionante, la ritirata dei ghiacciai sulle Alpi. Anche a queste latitudini, dove la tecnologia e le maggiori risorse permettono una resilienza migliore ai cambiamenti del clima, si sperimenta in piccolo quello che popolazioni meno fortunate vivono altrove come una lotta per la sopravvivenza, trovando nella migrazione l’unica risposta possibile.

È bene ricordare tutto questo nel giorno in cui la Chiesa italiana celebra la Giornata nazionale per la custodia del Creato. Il Messaggio per promuovere la riflessione parla proprio del pericolo che si faccia strada «un senso di impotenza e di disperazione», quasi fossimo di fronte «a un degrado inevitabile della nostra Terra», ma la prospettiva resta aperta alla speranza, nell’invito a «non cedere alla rassegnazione» e nel segno di quella «conversione ecologica» che è tratto distintivo dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. Nutrire fiducia nel futuro dell’umanità e della sua «casa comune» è la vera sfida di questa epoca. Per capire come affrontarla, superando la resistenza naïf dei negazionisti del clima, si può guardare a quanto accaduto in Francia giusto questa settimana con le dimissioni di Nicolas Hulot, il ministro alla Transizione Ecologica e Solidale del governo Macron.

Hulot, grande personaggio pubblico, era considerato un "animale raro" nel mondo ecologista, una personalità capace di fare sintesi tra la caratterizzazione estrema che nelle campagne d’Oltralpe (e non solo, purtroppo) si tende ad avere degli ambientalisti, visti o come dolci sognatori o come cinici e radicali misantropi. La sua rinuncia è stata interpretata come l’impossibilità di piegare il sistema economico neoliberista alle ragioni della difesa dell’ambiente, l’interesse delle lobby alla causa della tutela del pianeta, le abitudini radicate delle persone all’urgenza di adeguare gli stili di vita.

È vero però anche un altro aspetto: la difficoltà dell’ecologismo di incarnarsi nella vita reale, di essere generativo e fecondo non solo di slogan ultimativi. È una crisi dovuta alla fatica della mediazione, alla libertà di accettare compromessi se servono ad avviare veri processi di cambiamento. Non è facile, e lo si capisce da questioni locali come la Tav, l’Ilva, la Gronda di Genova. Lo sforzo di trovare continui punti di equilibrio tra interessi individuali e Bene comune conduce in un terreno pieno di contraddizioni, non solo a livello macro. Qualche esempio? I giovani si credono a basso impatto ambientale in virtù dell’economia condivisa che frequentano, ma quest’estate si è registrato il record storico di aerei in cielo perché i voli "low cost" col trolley hanno sostituito gli assai meno inquinanti viaggi in treno con zaino e sacco a pelo; le applicazioni promettono spostamenti smart, ma l’auto condivisa tende a far salire traffico e inquinamento; lo scambio di case mette fuori gioco le multinazionali delle vacanze, ma il turismo di massa sta letteralmente devastando i luoghi caratteristici. Su questo piano, non se ne esce più.

Il limite di questa epoca è la polarizzazione delle posizioni, funzionale solo alla conquista di consenso immediato. Il mondo appare diviso tra chi si batte per salvare la Terra arrivando a considerare gli esseri umani un problema per la biodiversità, e l’universo rappresentato da Donald Trump, persuaso che il Pil e la Borsa si nutrono solo bruciando carbone e accendendo motori a gasolio. Il risultato è una comunità orfana della questione ambientale e di una sua vera rappresentazione culturale e politica. Ma scelte più decise, a livello di soggetti economici come di famiglie, e capaci di incidere sugli stili di vita nel segno della sobrietà, oggi sono fondamentali. La "conversione ecologica" che la Chiesa continua a richiamare, ha sempre più bisogno di percorsi di formazione importanti nella prospettiva di educare a una vera "ecologia integrale". E di politici all’altezza.

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