Si tratta di «cogliere il cambiamento, di cui l’Unione Europea è stata capace nella risposta alla pandemia» e di usarlo come un’occasione irrinunciabile, come una «premessa per un rilancio dell’Italia». Non è un Meeting qualsiasi quello che si apre oggi a Rimini facendo uso con grande tenacia di tutti gli spazi fisici e virtuali che la complicatissima coda dell’emergenza Covid consente, replicando in tante piazze italiane gli incontri e le mostre non fruibili collettivamente nelle consuete modalità e location. E non è certo un messaggio qualsiasi quello che Sergio Mattarella ha inviato al neo-presidente Bernhard Scholz, che era stato ricevuto al Quirinale per anticipargli i tema degli incontri riminesi e le loro inedite modalità. E non è un caso che nel giorno in cui si inizia, a Rimini, nel segno di Mario Draghi – un grande italiano e un grande europeista al tempo stesso, che alla guida della Bce ha saputo governare la moneta unica, nella tempesta, trasformandola in un baluardo di valori unitari da difendere – il capo dello Stato scelga di incentrare il suo messaggio tutto sullo spirito di cui il Meeting si è fatto sempre interprete, su quell’orizzonte europeo «tratto decisivo del nostro futuro».
In giorni in cui questo futuro già irto di incognite per le giovani generazioni sembra precludere loro persino il diritto alla speranza, nel pieno di una propaganda becera che si rivolge ad esse per propagandare teorie negazioniste della pandemia che già rivelano tutta la loro pericolosità, il messaggio che parte da Rimini e che Mattarella incoraggia fa leva, viceversa, su una responsabilità che coinvolge tutti, i giovani per primi, e non lascia indietro nessuno. Nella convinzione che, come richiama il capo dello Stato, l’Italia «soltanto nell’integrazione e nella solidarietà europea può costruire un domani adeguato per i suoi figli».
A Rimini si rinnova anche quest’anno, persino più del solito, il mezzo miracolo di far convergere a parlare di bene comune e futuro del Paese, personalità di prima grandezza, di ogni colore politico, da Di Maio a Salvini, da Boschi a Meloni, da Delrio a Tajani, e dei più diversi livelli istituzionali, da Sassoli a Gentiloni – parlando, appunto di Europa – da Gualtieri a Speranza, parlando del governo, da Fontana a De Luca, passando per Zaia, parlando di Regioni. Un metodo che Mattarella incoraggia vistosamente e che sarebbe riduttivo, sbagliato e irrealistico associare all’idea di un governo di larghe intese, che pure viene sempre evocato, all’insaputa del diretto interessato, ogni qual vota si fa il nome di Draghi. Da un lato si tratta di una prospettiva troppo lontana per un sistema Italia chiamato a dare risposte all’altezza delle attese in tempi brevi, anzi brevissimi. Da un altro lato si tratta, viceversa, di una prospettiva in cui siamo già dentro per intero. Quando ancora una volta Mattarella fa ricorso a una parola a lui cara – invitando a ripartire, da subito, «con più forte coscienza di comunità» – tiene dentro tutti, ciascuno di noi e ciascuna istituzione, governo e Parlamento, Regioni e sindaci. Intestatari questi ultimi, di poteri enormi, in caso di emergenza sanitaria, alla luce della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale targata Tina Anselmi.
Le larghissime intese che partono dal Meeting, manifestazione che Mattarella indica come «momento importante di fraternità e di crescita», scaturiscono, già subito, da quello spirito costituzionale di «leale collaborazione» spesso invocato e sovente trascurato dai diversi attori istituzionali, privilegiando «spinte alla chiusura, al risentimento, all’avversione», che, avverte Mattarella, «condurrebbero invece al fallimento». Mentre una risposta unitaria ed efficace «non può attendere e ha bisogno, al tempo stesso, di profonda idealità, di ampia visione, di grande concretezza».