La psicologia dell’abbandono conosce da tempo la dinamica del cosiddetto “lutto da separazione”. La frattura del rapporto, soprattutto quando subìta e inattesa, suscita sofferenza, frustrazione e rabbia. Si cerca disperatamente una ragione, ci si colpevolizza, si ripercorrono parole, episodi, situazioni alla ricerca spasmodica di qualche segno premonitore. Quasi sempre il partner, che deve coglierne il significato, non riesce a metterne a fuoco con chiarezza la gravità. Fa velo spesso la tenacia dell’affetto e la paura di soffrire. “Perché lui in fondo è buono, mi vuole bene, dev’essere solo aiutato a cambiare”. Non va quasi mai in questo modo. Forse anche Sara, la 22enne romana atrocemente strangolata e bruciata dal suo ex, il 27enne Vincenzo, avrà cullato a lungo questa speranza prima di rassegnarsi alla fine ineluttabile. Ogni addio, anche (apparentemente) non traumatico, è sempre foriero di un carico di delusioni. La durata del rapporto e l’età dei protagonisti cambiano le conseguenze della deflagrazione, ma spesso la dinamica è la stessa. E allora succede che l’angoscia dell’addio si trasformi in irritabilità, senso di sconfitta, frattura interiore e poi, in un numero di casi purtroppo sempre più rilevante, autentica patologia. Che quasi sempre non si sa riconoscere e meno ancora prevenire e curare. Forse perché non si conoscono davvero a fondo le cause di questa esplosione di violenza legata al fallimento di una relazione. Forse perché si fa fatica ad individuare strategie di intervento. Facile parlare di un’ormai endemica emergenza educativa che tocca tutti. Facile capire che dietro una disgregazione affettiva che diventa vendetta rabbiosa e purtroppo anche mortale, c’è spesso un uomo immaturo, con un’identità confusa, un equilibrio instabile e un analfabetismo interiore grave. Facile intuire che, non raramente, la tendenza da parte di tante donne a non chiedere aiuto, a non denunciare subito gli atti più gravi, finisce per regalare al partner una sensazione di impunità che impedisce interventi solleciti e, forse, risolutivi. Ma è certo che la sconvolgente fine di Sara deve sollecitare in chi ha responsabilità e capacità di intervento – famiglie, scuola, società, media, istituzioni – un soprassalto di consapevolezza e di volontà destinati a impedire, per quanto possibile, che l’immaturità dell’amore si trasformi ancora in rabbia di morte. E in sconfitta per tutti.